Non si ferma. Mentre il Governo stringe i bulloni della nuova spending review chiamata, non senza difficoltà, a trovare le risorse per finanziare i tagli dell’Irpef, cominciano a emergere i numeri sui risultati dei tagli di spesa nell’epoca pre-Cottarelli. E non sono incoraggianti.
A non fermarsi, appunto, è la spesa pubblica o, per dirla meglio, la spesa considerata “cattiva” da tutti, ministri, tecnici o commissari, che si sono cimentati nell’impresa di ridurla. Si tratta della spesa per «consumi intermedi», vale a dire per gli acquisti dei beni e dei servizi che servono a far funzionare la macchina pubblica.
Le cifre sono quelle ufficiali, offerti dal sistema del ministero dell’Economia che monitora i flussi di cassa di tutte le Pubbliche amministrazioni (Siope), e segnano un aumento complessivo del 7,6% tra 2010 e 2013. Lo sblocca-debiti del 2013, naturalmente, ha contribuito a incrementare le uscite liberando vecchi pagamenti incagliati da anni, e il pagamento degli arretrati è una buona notizia. Da solo, però, non basta a spiegare il fenomeno, per due ragioni: lo sblocca-debiti si è concentrato in gran parte, soprattutto negli enti territoriali, sulla spesa in conto capitale, mentre quella utilizzata per i «consumi intermedi» è la più classica delle spese correnti. Non solo: nel caso dei Comuni, per esempio, hanno liberato pagamenti per 2,7 miliardi, e potevano essere utilizzate sia per la spesa corrente sia per gli investimenti. Le sole uscite correnti, di cui i «consumi intermedi» indicati nelle tabelle a fianco sono una parte, sono cresciute invece di 4,2 miliardi. Le dinamiche di pagamento, misurate dal Siope, sono insomma soggette a diverse variabili, ma un dato emerge con chiarezza: gli importi dei tagli prodotti dalle manovre di finanza pubblica non si sono tradotti direttamente in alleggerimenti della spesa di funzionamento delle Pa; a differenza di quanto accaduto in voci più controllabili come il pubblico impiego, che ha portato alla riduzione degli impegni..
A guardare i meccanismi utilizzati fin qui, il dato non è poi troppo strano. Nel caso degli enti territoriali, in particolare, i consumi intermedi sono stati usati come parametro per misurare la distribuzione dei tagli, che però potevano essere compensati con incrementi della pressione fiscale.
Quando si scende nel dettaglio, si scopre poi che queste medie sono alimentate da comportamenti di spesa molto diversi fra loro. Per gli affitti, ad esempio, i Comuni di Lazio e Abruzzo spendono in media fino a 9-10 volte tanto quelli di Basilicata, Piemonte e Lombardia. Guardando a un’altra voce di spesa, la graduatoria cambia drasticamente: per la benzina delle auto (non si tratta di quelle «blu», ma delle vetture in uso ai vari servizi) in Valle
7I d’Aosta si spendono 3.410 euro all’anno ogni 100 abitanti, cioè 14 volte tanto le spese registrate nel Lazio. Certo, le dimensioni demografiche delle Regioni contano, ma la Basilicata ha meno abitanti del Trentino Alto Adige eppure i suoi Comuni spendono per la benzina un quarto in termini pro capite.
Sulle spese di funzionamento, insomma, le manovre che si sono succedute negli ultimi anni non hanno avuto lo stesso effetto incontrato su altre voci di spesa, per esempio quelle di personale, che hanno spinto la stessa Corte dei conti a parlare di «riduzioni senza precedenti» (riferite al 2011-2012). La sfida, ribadita da Cottarelli, punta a ridurre anche queste uscite con il taglio drastico dei centri di spesa, che oggi sono 32mila e dovrebbero ridursi a poche decine: una sfida, a ben vedere, scritta in «Gazzetta Ufficiale» fin dal 2011, ma finora sempre rimandata.
Il Sole 24 Ore – 7 aprile 2014