Non c’è mattone, non c’è colonna, non c’è centimetro quadrato di cemento che non poggi su fatture false. Pagina dopo pagina, le trascrizioni delle deposizioni fatte ai pm lagunari che hanno aperto il vaso del Mose, raccontano di un Veneto interamente costruito su mazzette, regali e favori.
E con un occhio di riguardo alle opere più convenienti. Non per i malati che hanno bisogno di ospedale, non per le imprese che hanno bisogno di infrastrutture e di certo non per i veneti. La convenienza era nella quantità di fatture gonfiate che si potevano staccare e nella percentuale di rimbalzo che portava più soldi nelle tasche di chi comandava la Regione. «La Valdastico Nord, a parte (Attilio) Schneck per motivi politici, non la vuole fare nessuno perché vanificherebbe un altro project importante che si chiama Valsugana», confessa ai pm l’ex segretaria di Giancarlo Galan Claudia Minutillo che spiega come la bacchetta magica dell’ex governatore fosse proprio il sistema dei project financing.
Minutillo lascia intendere che già dieci anni fa le casse delle amministrazioni pubbliche erano in difficoltà finanziaria (meglio di adesso, ma pur sempre peggio degli anni Ottanta) e allora la soluzione indicata fu quella degli appalti in cambio di concessioni vantaggiose per i privati. «La più importante di tutti era la Pedemontana Veneta, poi portarono a casa il discorso dell’ospedale di Mestre e il Passante, che però era nato come project». E non solo. Le dichiarazioni di William Ambrogio Colombelli, presidente della Bmc di San Marino e tra i primi protagonisti della vicenda Mose ad essere sentito dai magistrati, sono una lunga lista di opere in cui sono state utilizzate fatture false.
Le fatture, le consulenze fittizie, le regalie sono entrate nella progettazione del nuovo Terminal Ro-Ro sulle banchine di Fusina, nello studio e nella progettazione della complanare della A4 nel tratto tra Peschiera del Garda e Busa di Vigonza, nella consulenza tecnica del Gra di Padova e perfino nella valorizzazione del compendio immobiliare di via Torino a Mestre dove c’è l’attuale Mercato ortofrutticolo (Mof). Il sistema di corruzione era talmente consolidato che perfino lo studio di localizzazione della nuova sede di Marghera della Mantovani ha richiesto l’uso di fatture gonfiate.
Lontano dalla laguna, dove arrivavano da Roma i soldi per costruire il Mose, le aziende consorziate pagavano chiunque per ottenere gli appalti. Con regole precise, quasi scritte. «C’era un intero controllo della filiera – contina Minutillo -: il presidente della Regione, l’assessore competente (Renato Chisso) e tutto l’apparato burocratico perché anche le nomine dei commissari erano politiche».
Poco importa che si trattasse di un traforo come quello delle Torricelle di Verona, degli adeguamenti della Tangenziale di Vicenza o della realizzazione della Nogara Mare. E meno ancora che si trattasse di un ospedale come quello di Mestre o il futuro ospedale di Padova. Nessuno si è apparentemente posto la domanda a chi servisse una nuova struttura ospedaliera. Perfino la Bovis, la società che ha proposto il project dell’ospedale di Padova, avrebbe cercato un referente politico tramite la copertura del patron di Palladio Finanziaria Roberto Meneguzzo. Il sistema Galan descritto dalla sua ex segretaria appare come una macchina oliata capace di saltare a pié pari anche i pareri della Commissione Via «perché i dirigenti erano tutti scelti tra le persone più vicine, per cui era difficile che le cose potessero avere un intoppo, difficile», puntualizza Minutillo.
Il sistema però non avrebbe mai potuto funzionare senza la sperimentazione fatta all’interno del Consorzio Venezia Nuova con le opere del Mose. Proprio quella montagna di soldi, quei cinque miliardi di denaro pubblico arrivati da Roma in laguna, hanno permesso a Mantovani, al Coveco, a Grandi Lavori Fincosit, a Mazzi Scarl e alle altre imprese di avere la liquidità necessaria per proporre i project financing e pagare le mazzette.
Con lo svuotamento progressivo delle casse pubbliche il sistema dei project financing è stato reso possibile proprio dai soldi pubblici, quelli che arrivavano con i finanziamenti del Mose e che rotolavano tramite le consorziate in tutte le grandi opere venete. Ma non basta. Per accedere ai quei soldi nel lungo periodo serve anche il controllo sulle società giuste. «La Venezia-Padova era interessante per due motivi – dice Minutillo -: aveva i requisiti del concessionario e poteva partecipare alle gare». A quel punto il presidente di Mantovani Piergiorgio Baita poteva fare a meno degli intermediari per le concessioni e avrebbe permesso di andare all’assalto della Cav, la società partecipata al 50% dall’Anas e dalla Regione Veneto che controlla il Passante di Mestre. A sentire Minutillo proprio in quell’occasione ci furono delle tensioni: la Padova Venezia aveva un centinaio di milioni liquidi in cassa che l’allora presidente della Venezia Padova Lino Brentan aveva voluto tenere da parte per partecipare alle gare del Grande raccordo anulare di Padova e della Nogara Mare. «Quando si misero d’accordo – continua Minutillo – Baita favorì l’entrata nella Padova-Venezia anche del Gruppo Gavio attraverso la vendita di Enrico Marchi della Save e dell’Autorità portuale. I nuovi soci alla prima assemblea si divisero il capitale e si portarono a casa i soldi per ripagarsi immediatamente la partecipazione».
Nel Veneto delle mazzette le altre aziende, quelle che non ruotavano attorno al Mose o non avevano legami cone le società consorziate, non sono mai riuscite a entrare negli appalti a meno di una vittoria al Tar. Poco importa che i preventivi fossero più bassi, le proposte progettuali più efficaci. E alle volte non servivano nemmeno le tangenti per far funzionare il sistema.
I soldi pubblici sono serviti per favorire l’intero sistema: «Minutillo mi ha presentato l’amministratore delegato di Veneto Strade Silvano Vernizzi per gestire gli eventi fieristici ai quali Veneto Strade voleva partecipare – spiega Colombelli -. Abbiamo fatto un preventivo per circa 20 mila euro a fiera, una cosa perfettamente in linea, anzi leggermente al di sotto di quelli che erano i costi dell’allora Veneto Strade su determinate operazioni e abbiamo preso l’okay». Qui non c’era bisogno di sovrafatturazioni. Il contratto bastava e avanzava.
Alessio Antonini – Corriere del Veneto – 11 giugno 2014