Dalla Commissione la richiesta di cambiare le bozze della legge di Stabilità ma il ministro esclude procedure contro di noi. Fmi: bene il Jobs Act
Elena Polidori. Sfida Italia-Ue sui conti pubblici. Secondo fonti europee rimbalzate a Washington la Commissione avrebbe chiesto al governo italiano e a quello francese di cambiare la legge di Stabilità 2015 per evitare una bocciatura. Contatti ad altissimo ci sarebbero già stati tra il presidente del Consiglio Ue Van Rompuy, il premier Renzi, il presidente Hollande, in vista della presentazione del testo, la prossima settimana. Ma dalla capitale Usa, dove si trova per il vertice Fmi, il ministro dell’economia Pier Carlo Padoan nega tutto: «Non c’è alcun negoziato con Bruxelles». E soprattutto «non c’è possibilità che la legge di stabilità venga rigettata. Abbiamo i numeri giusti e abbiamo fatto gli aggiustamenti giusti. L’Italia rispetta le regole ed è tra i poco paesi con un deficit sotto il 3%».
I conti, ma non solo. A Washington arriva pure la notizia che l’agenzia S&P taglia il rating della Finlandia, che perde la tripla A e peggiora l’outlook della Francia a “negativo”. Mentre Dbrs con sede a Toronto, uffici a New York, conferma all’Italia il suo “’A low” con “trend negativo”. Voci danno in arrivo anche il giudizio di Moody’s: più tardi si capirà che, per adesso, l’aggiornamento è rinviato. La decisione di Dbrs — si legge in una nota — riflette i progressi nel risanamento di bilancio. Il paese però resterà in recessione anche quest’anno, con un Pil in calo dello 0,3% (-0,2 secondo il Fmi), per poi riprendersi nel 2015 (più 0,5%) grazie alle riforme strutturali del governo; il potenziale di crescita «resta debole». «Non sono affatto preoccupato», dichiara Padoan. E come lui la pensa anche Renzi convinto com’è che ormai le agenzie di rating hanno perso credibilità e dunque il loro giudizio non influisce. Atteggiamento è confortato da uno studio di Unicredit, che è appunto sui tavoli di palazzo Chigi, da cui risulta un disallineamento tra i dati dell’economia reale e il giudizio soggettivo degli analisti.
Dai vertici del Fmi arriva un’apertura di credito al governo: Paul Thomsen, il responsabile per l’Europa, che ha già seguito pure la crisi greca, giudica “molto importante” il jobs act. Ci tiene anche a far sapere che «i paesi Ue dove gli obiettivi di bilancio non sono stati centrati a causa di minore crescita non dovrebbero compensare con nuove misure». Tradotto significa che l’Italia non deve fare una manovra correttiva. Aggiunge: «In generale, nel 2013 sono stati fatti buoni progressi per l’equilibrio di bilancio e tutti hanno fatto grandi aggiustamenti», Italia compresa.
Ma il ciclo, ovvero lo stato di salute dell’economia, non è affatto roseo per nessuno, tantomeno per Eurolandia che, nei calcoli del Fmi, ha quasi il 40% di probabilità di incappare in una nuova recessione. Il G20 conferma che la ripresa è “debole e incerta” e annuncia l’apertura di un “centro” per gli investimenti in infrastrutture. Il presidente della Bce, Mario Draghi, ripete che “ha perso slancio”, che la disoccupazione “resta alta” e che bisogna “ridurre le tasse sul lavoro” per meglio uscire dal tunnel. E cupa è anche l’analisi di Christine Lagarde, numero uno del Fmi, sui 200 milioni i disoccupati. «Se queste persone formassero un proprio stato sarebbe il quinto più grande al mondo », calcola la signora. Citando Dostoyevsky aggiunge anche che “siamo bloccati” in una crisi occupazionale “dolorosa”: «Privati di un significativo lavoro, uomini e donne perdono la ragione di esistere».
Repubblica – 11 ottobre 2014