Franco Pepe. L’anatossina M1, quella che si trova nel latte contaminato e nei prodotti derivati con valori superiori ai limiti stabiliti dal regolamento comunitario, è un agente cancerogeno. Il più pericoloso che ci sia. Su questo non esiste alcun dubbio. E da 23 anni che l’Agenzia intemazionale per la ricerca sul cancro l’ha inserita nell’elenco off limits delle sostanze neoplastiche. Può ingenerare un’intossicazione progressiva che diventa senza ritorno fino a sviluppare forme tumorali molto gravi.
Colpisce soprattutto il fegato, sviluppando carcinomi e cirrosi, ma il sospetto è che sia la causa anche del cancro alla prostata e del tumore al seno, che provochi iperplasia dei condotti biliari, emorragie del tratto gastrointestinale e dei reni, che possa m qualche modo incidere sull’arteriosclerosi, su altre malattie, ma anche suu’infertilità. È una materia su cui non si può scherzare. Ovviamente tutti questi danni, che possono diventare anche letali, dipendono dalle dosi della tossina. Il dottor Stefano Ferrarini, direttore del servizio igiene degli alimenti di origine animale e coordinatore dei veterinari dell’Ulss 6, su questo aspetto vuole essere estremamente chiaro e preciso. Non si può sottovalutare nulla ma neppure creare allarmismi. «Il rischio è reale, ma per far esplodere i suoi effetti cancerogeni l’anatossina Mi deve essere assunta ripetutamente per un periodo prolungato e in grandi quantità». Per il latte il limite della temibile anatossina M1 è di 50 parti per trilione. Non si possono superare i 50 microgrammi per chilogrammo. Oltre questa barriera il latte va distrutto. Non ci sono santi. «In questo momento – assicura Ferrarini – il consumatore vicentino che acquista latte e formaggi in città e negli altri 38 Comuni dell’Ulss 6 non corre pericoli. Finora i prodotti sono indenni. Le forme di formaggio infetto sono state tutte sequestrate, si trovano bloccate nei magazzini dei caseifici o degli esercizi commerciali, non sono in vendita, e nei prossimi giorni provvederemo agli esami di laboratorio». La situazione, però, è fluida. La sensazione è che sia una guerra molto complicata in cui ci si potrebbe trovare impotenti, senza armi. Le varianti sono troppe e non sempre controllabili. I casi di trasgressione, fino ad oggi, sono isolati, ma il latte malato potrebbe incrociarsi, nel dedalo dei conferimenti, anche con quello buono. I dati rassicuranti in possesso di Ferrarini provengono dal sistema di autocontrollo dei 16 caseifici del territorio dell’Ulss 6 che, grazie al rapporto di collaborazione fiduciario instauratosi, vengono strettamente monitorati ogni giorno dagli otto veterinari e dai tecnici della prevenzione della squadra diretta da Ferrarmi. In un deposito sono state poste sotto sequestro 78 forme di formaggi semistagionati per un totale di 19 quintali. Nel territorio dell’Ulss 6 i caseifici trasformano ogni giorno 6 mila 500 quintali di latte che viene conferito da un migliaio di stalle dislocate nel Vicentino ma anche in altre zone, in particolare nelle province di Padova e Venezia. Insomma, è una corsa al buio e l’incognita è sempre in agguato. Non per nulla negli uffici di via Camisano l’attenzione è massima ma la tensione è alta, si sente odore di emergenza, Ferrarini continua a ricevere e spedire circolari, il suo ufficio sembra un quartier generale in cui si sussseguono segnalazioni e partono disposizioni per organizzare i controlli dei veterinari nei vari stabilimenti di lavorazione del latte. Venerdì Ferrarini sarà in Regione per una riunione con tutti i responsabili di settore del Veneto. La grande malata è la pianura padana che nell’ultimo decennio si è immersa in un clima subtropicale. È qui che cresce il mais contaminato e inizia la catena che nell’ultimo anello ha il formaggio al veleno.
Il Giornale di Vicenza – 20 aprile 2016