Il rapporto di lavoro con le pubbliche amministrazioni ha avuto da sempre una vita travagliata. Almeno dal punto di vista normativo. Dal 1993, per parlare di storia contemporanea, il legislatore cerca di migliorare il quadro normativo per gestire meglio le risorse umane nelle Pa. E così incontriamo il primo vizio in questa storia: ritenere la Pa un corpo tecnico e neutrale che si modifica solo per via delle norme.
Un approccio che ha rafforzato la cultura burocratica e formalistica, che proprio la riforma degli anni 90 voleva sconfiggere. Detto questo, per andare a quale diritto del lavoro serva alle Pa per lavorare meglio, il quadro rimane incerto.
Il tema in discussione è oggi quello del procedimento disciplinare, oggetto di un decreto legislativo, adottato in attuazione della legge Madia. Un tema che richiama due grandi argomenti, sempre evocati ma mai affrontati. Il primo è quello della cattiva gestione di reclutamento, formazione e valutazione. La gestione appare un fattore esogeno, che non appartiene alla dirigenza: un tipico retaggio pubblicistico.
Il secondo argomento, più giuridico, riguarda il rapporto nella Pa tra diritto del lavoro “speciale” e diritto del lavoro privato. Tema tornato in auge con le modifiche alla legge 300/1970 su mansioni, controlli e licenziamenti e che richiederebbe urgentemente un chiarimento e qualche certezza in più, soprattutto dopo la sentenza 24157/2015 della Cassazione sull’applicabilità dell’articolo 18 alle Pa.
Lo schema di decreto, quindi, non affronta temi più grandi che rimangono irrisolti e si occupa dei fatti di cronaca. Si prevede una sospensione obbligatoria in un caso, quello della manomissione e falsificazione delle attestazioni di presenza. Istituto già presente nei contratti come sospensione cautelativa, ma senza l’obbligo di procedere entro 48 ore dal momento in cui si è conosciuto il fatto. Si tratta, nel decreto, di una sospensione senza retribuzione, senza obbligo di preventiva audizione dell’interessato, che non solo non è tra gli interventi più urgenti da adottare ma che rischia di indebolire il licenziamento per giusta causa senza preavviso per la stessa fattispecie. Cioè d’ora in poi si dovrà applicare prevalentemente o “solo” (per principio di proporzionalità) la sospensione obbligatoria in caso di falsa attestazione della presenza in servizio. I tempi ridotti, inoltre, nel procedimento portano solitamente la Pa a commettere maggiori errori.
Ma la falsa attestazione della presenza è la fattispecie più grave? Che si fa in caso di corruzione o concussione? O di danno erariale? In caso di omessi controlli o perdita fondi Ue? Applicheremo la sospensione cautelare prevista dai contratti collettivi.
È buona prassi, quando si scrivono le norme, pensare a come si applicano. La sospensione veloce, senza retribuzione, potrebbe portare a maggiori possibilità di richiesta di risarcimento in caso di soccombenza e, quindi, a un maggior rischio per i dirigenti di essere chiamati a rispondere civilmente e contabilmente. Il dirigente è “minacciato” in caso di mancata adozione del procedimento, con un esercizio “quasi” penalistico della delega, ma il datore di lavoro pubblico andrebbe forse rafforzato, e non solo per legge, più che minacciato.
Francesco Verbaro – Il Sole 24 Ore – 15 febbraio 2016