Eugenia Tognotti dalla Stampa. Il malefico virus Ebola che continua ad uccidere senza misericordia, con rapidità ed efficienza, come in un film horror, non minaccia da vicino l’Europa, anche se il populismo di destra evoca la remotissima e irrealistica possibilità di sbarchi di migranti clandestini infetti. In questo modo dando corpo all’equazione immigrazione uguale infezione, di nuovo conio qui da noi, ma ben radicata negli Stati Uniti, dove ha guidato, da fine Ottocento, la politica di immigrazione del governo (con filtro anticontagi a Ellis Island, nella baia del porto di New York). Nessun pericolo incombente, dunque. Ma l’apocalittico scenario che si va complicando in Guinea, Nigeria, Liberia e Sierra Leone ci trasmette un drammatico avvertimento.
Il mondo – che il movimento pervasivo di persone e cose ha reso tanto vulnerabile – non è pronto ad affrontare l’aggressione di un virus ignoto e inatteso.
Di fronte ad un’emergenza come Ebola, il sistema internazionale sta rivelando tutta la sua fragilità e la sua debolezza. Si potrebbe anzi, dire, che paradossalmente, le società del passato erano più attrezzate – nonostante il vuoto delle conoscenze scientifiche – a far fronte all’aggressione delle malattie epidemiche. Se l’Europa unita, l’Europa dell’euro, stenta oggi a promuovere e ad assumere politiche sanitarie comuni, a metà del XIX secolo, le potenze europee, pur divise da interessi economici e coloniali, riuscirono – di fronte ad una serie di devastanti incursioni epidemiche di colera – a raggiungere un’intesa che, nel 1851, portò all’organizzazione, a Parigi, della prima Conferenza Sanitaria Internazionale, da cui sono nati tutti i successivi Regolamenti Sanitari.
C’è da sperare che le lezioni che Ebola sta impartendo non vadano perdute. Quest’epidemia non richiede solo una risposta d’emergenza in termini di fondi , pur necessaria per interrompere la sua catena di morte. In un mondo globalizzato anche per i virus e gli agenti infettivi, dove le malattie epidemiche, nuovi marcatori della globalizzazione, come la Sars, si diffondono con enorme rapidità nelle megalopoli, viaggiando su aerei, navi, con uomini e animali, è necessario un sistema di controllo adeguato alle nuove sfide e un aumento della spesa globale per la salute pubblica. La tendenza opposta ha costretto invece l’Organizzazione Mondiale della Sanità ad una restrizione drastica del bilancio, mentre si sono ridotti i finanziamenti dei Paesi donatori per il Fondo globale per la lotta all’Aids, alla tubercolosi e alla malaria.
L’altra importante lezione che ci viene dalla catastrofe Ebola riguarda la necessità della creazione di sistemi nazionali di sanità pubblica, con personale non estraneo alle comunità, con linguaggi e sensibilità appropriate ai contesti locali. Alla diffusione di Ebola ha concorso il vuoto di sistemi sanitari di base nei remoti villaggi africani, dove la diffusione dell’epidemia ha ricevuto una spinta dalle pessime condizioni di salute e dalla povertà. Ma anche dalle pratiche culturali che comportano la preparazione rituale dei corpi per la sepoltura, con uno stretto contatto fisico che mette a rischio coloro che toccano il sangue o altri fluidi del corpo. Non basta il pur eroico impegno di organizzazioni internazionali, gruppi di beneficenza, medici e infermieri volontari arrivati dall’esterno. Quello che è davvero necessario è aiutare quei Paesi – con fondi adeguati – a creare sistemi nazionali di sanità pubblica e a formare operatori sanitari di comunità, ben addestrati, riconosciuti e ascoltati.
Il film «Virus letale» si apre con una frase del microbiologo e Nobel Joshua Lederberg: «La principale minaccia al perpetuarsi del dominio dell’uomo sul pianeta è un virus». L’eterna lotta tra umanità e agenti patogeni non promette vittorie eclatanti. Ma, qui e ora, contro la catastrofe Ebola si può ancora sperare di avere la meglio, se si agirà con decisione e subito.
Ebola: 113 nuovi casi in tre giorni. In Liberia rintracciati i pazienti scappati dalla quarantena
L’ultimo bilancio dell’Oms: 84 morti tra il 14 e il 16 agosto in Guinea, Liberia, Nigeria e Sierra Leone. In Tunisia creata una commissione per monitorare la malattia
Tra il 14 e il 16 agosto 2014 un totale di 113 nuovi casi di malattia da virus di Ebola (confermati o sospetti) e 84 decessi sono stati segnalati in Guinea, Liberia, Nigeria e Sierra Leone. Lo ha annunciato oggi l’Organizzazione mondiale della sanità: dallo scoppio dell’epidemia nei 4 Paesi colpiti si contano 1.229 di decessi su un totale di 2.240 casi.
In Liberia intanto il ministro dell’Informazione Lewis Brown ha annunciato che sono stati ritrovati tutti i 17 pazienti che erano scappati dalla quarantena a loro imposta a causa del virus. I 17 pazienti sono stati ora trasferiti nel centro specialistico JFK. Brown ha aggiunto che i dottori africani infetti, a cui è stato somministrato il siero Zmapp, hanno dato significativi segni di miglioramento.
Anche la Tunisia si sta muovendo per predisporre programmi di prevenzione: l’Osservatorio Nazionale delle malattie nuove ed emergenti (ONMNE) rivela che nessun caso ancora è stato registrato in Tunisia, ma che è stata creata una commissione apposita per la sorveglianza della malattia in Tunisia e per monitorarne l’evoluzione nei paesi interessati. Sono stati allertati gli ospedali di Rabta e quello militare a Tunisi, e quelli di Sousse, Monastir e Sfax per assicurare cure adeguate agli eventuali casi sospetti che si dovessero verificare. L’Onmne assicura anche la sorveglianza ai passaggi frontalieri in coordinazione con la direzione degli aeroporti e delle società di trasporto aereo e delle agenzie di viaggio per controllare i viaggiatori provenienti dai paesi dell’Africa occidentale dove il virus si è diffuso. Sul sito dell’Omne sono stati pubblicati i dati relativi al virus Ebola e alla sua propagazione. La dottoressa Souha Bougatef, vicedirettrice dell’Onmne, sottolinea l’importanza di monitorare lo stato di salute dei pazienti sospetti per la durata di almeno tre settimane al fine di poter stabilire se effettivamente siano affetti dal virus Ebola. (La Stampa)
Ebola, paura in Austria. Test su donna trovata morta dopo viaggio in Nigeria. Regno Unito allerta le università
L’Huffington Post. Paura in Austria per un sospetto caso di ebola al vaglio delle autorità del land austriaco del Tirolo. I responsabili della sanità tirolese hanno deciso di sottoporre ad analisi campioni di sangue e urina di una donna britannica di 48 anni trovata morta nel suo appartamento a Vomp: la donna era rientrata recentemente da un viaggio in Nigeria. Secondo quanto riportano i media austriaci, i risultati degli esami medici dovrebbero essere disponibili nel pomeriggio di oggi. Le autorità tirolesi hanno insistito sul fatto che le probabilità che la morte sia dovuta al virus ebola sarebbero “estremamente basse”.
Frontex sospende i voli di rimpatrio verso Nigeria. L’agenzia europea per la sorveglianza delle frontiere, Frontex, ha deciso di sospendere i voli di rimpatrio degli immigrati clandestini nigeriani, a causa dell’epidemia di virus ebola nei paesi dell’Africa occidentale. Frontex collabora all’organizzazione e al finanziamento di circa il 2% del voli di rimpatrio dei clandestini entrati irregolarmente in Europa. Negli ultimi cinque mesi l’epidemia di ebola ha causato 1.145 morti, quattro dei quali in Nigeria.
Regno Unito, università allertate per arrivo studenti africani. Tutte le università del Regno Unito sono state allertate e istruite su come gestire un’eventuale focolaio di epidemia di ebola. Con l’approssimarsi dell’inizio del semestre e delle lezioni a settembre infatti, Universities Uk, l’organismo che rappresenta i vice-rettori e le università britanniche, ha scritto a ogni campus e università, inviando una guida con dettagliate istruzioni su come far fronte a un’epidemia, come segnala oggi il quotidiano inglese The Independent.
La decisione di inviare la guida agli atenei è stata presa perché si attendono migliaia di nuovi studenti proprio dall’Africa occidentale, dove è in corso l’epidemia di ebola. Se Liberia, Guinea e Sierra Leone, dove è stato registrato il maggior numero di casi, avranno a malapena qualche studente iscritto, la Nigeria invece è il quarto Stato per numero di studenti stranieri iscritti alle università britanniche. Nel 2012-13 erano 9.630.
La guida inviata agli atenei spiega in modo chiaro che chiunque si sospetti possa aver contratto il virus ebola deve essere immediatamente isolato in una stanza a parte, lontano da ogni contatto con gli altri studenti e il personale. La stanza deve delle strutture annesse o almeno un bagno dedicato. Il livello di protezione del personale dipenderà dalle condizioni del paziente, e quelli che avranno a che fare con lui dovranno adottare precauzioni di igiene molto scrupolose, indossando doppi guanti e una visiera monouso.
La guida rassicura però il personale delle università sul fatto che la principale via di trasmissione è il contatto diretto attraverso ferite della pelle o mucose, e quello indiretto in ambienti contaminati, con fluidi corporei o gocce di sangue, mentre non ci sono prove di un rischio di trasmissione aerea tra pazienti.
Msf: “Virus è veloce, almeno 6 mesi per controllarlo”. Ci vorranno almeno sei mesi perché l’epidemia di ebola in Africa Occidentale possa essere messa sotto controllo: è questa la previsione di Joanne Liu, presidente di Medici senza frontiere (Msf), secondo il quale “la situazione sta peggiorando più velocemente del previsto e il virus si muove più in fretta rispetto alla risposta che possiamo dare”. Parlando a Ginevra dopo la sua visita nella zona del contagio ha spiegato che anche se l’epicentro iniziale dell’epidemia è stato in Guinea e il suo ritmo lì è rallentato, ora il focolaio principale è in altri paesi, in particolare in Liberia. “Se non riusciamo a stabilizzare la Liberia – continua Liu – non riusciremo mai a stabilizzare l’intera regione – continua – In termini di tempo, non si tratta di settimane, ma di mesi. Abbiamo bisogno di un impegno di mesi, almeno sei, direi. E si tratta di una previsione molto ottimistica. Tutti i governi devono agire ora, se vogliamo contenere l’epidemia”.
Liberia, ordine di sparare a chi entra da Sierra Leone. Alle forze armate della Liberia è stato dato l’ordine di sparare a chi cerca di passare illegalmente il confine, per entrare nel Paese dalla vicina Sierra Leone. Il confine fra le due nazioni è stato chiuso settimane fa nel tentativo di arginare l’epidemia. La notizia è riportata sul Daily Observer. I soldati di stanza nelle contee liberiane di Bomi e Grand Cape Mount hanno l’ordine di “sparare a vista” a chiunque cerchi di passare il confine, spiega il vice capo di Stato maggiore, colonnello Eric Dennis.
19 agosto 2014