Un vaso di coccio tra i vasi di ferro. Il colpo d’occhio sulle liste della Lega nelle grandi regioni del nord si rivela impietoso per i candidati veneti, sconosciuti o quasi rispetto allo squadrone lombardo e alla stessa accoppiata piemontese.
Certo, nella corsa al Parlamento il Carroccio veneto scontava in partenza l’assenza dei cavalli di razza Luca Zaia e Flavio Tosi, vincolati dai rispettivi incarichi istituzionali al vertice della Regione e del municipio di Verona. Il radicale rinnovamento tosiano, però, ha cancellato in blocco i veterani: via i capigruppo uscenti alla Camera e al Senato, Giampaolo Dozzo e Federico Bricolo, fuori la “triumvira” Emanuela Dal Lago e il tesoriere Stefano Stefani, a casa anche la battagliera deputata Paola Goisis e gli uscenti (al primo mandato) Corrado Callegari e Gianpaolo Vallardi. Per non parlare dell’autoesclusione (polemica) del “grande vecchio” Giampaolo Gobbo. Così – accanto ai “superstiti” Massimo Bitonci, Emanuela Munerato, Matteo Bragantini e Giovanna Negro – figura una schiera di outsider rispettabili ma pressoché ignoti al di fuori del campanile di provenienza: Marco Marcolin sindaco di Cornuda, Patrizia Bisinella segretario della sezione di Castelfranco, Roberto Caon capogruppo a Vigonza, Filippo Busin consigliere di Thiene, Sabina Fabi ex sindaco di Scorzé, Raffaela Bellot amministratrice di Pedavena. E via di questo passo. Ben diversa la scelta dei lumbard. Favoriti anche dal traino delle regionali che vedono Roberto Maroni candidato presidente del centrodestra, schierano una serie di big: da Umberto Bossi a Matteo Salvini, da Roberto Calderoli a Massimo Garavaglia. Senza dire dell’alleato Giulio Tremonti, che corre a Milano ma anche in Piemonte, accanto al governatore subalpino Roberto Cota. Morale della favola? Nel nuovo gruppo parlamentare del Carroccio i veneti comporranno la truppa mentre lo stato maggiore parlerà rigorosamente lombardo. Questa, almeno, è la convinzione diffusa tra i lighisti, dove polemiche e scambi d’accuse stanno toccando il livello di guardia, con un consigliere regionale – l’ultrabossiano Santino Bozza – che si rivolge alla magistratura chiedendo un’indagine nei confronti dell’acerrimo rivale Tosi. Tra chi avverte il rischio di implosione c’è Luca Zaia, che chiede un passo indietro ai contendenti – «I panni sporchi, in una buona famiglia, si lavano in casa, una campagna elettorale che diventa guerra per bande non fa bene alla Lega» – e invita il suo partito a «lavorare pancia a terra» per riguadagnare il consenso smarrito. Tant’è. Fra i militanti lealisti (così si definiscono i postbossiani) l’umore è nero e le previsioni sul voto funeree. Si parla di sciopero elettorale dei delusi, di rivolta delle città escluse dai giochi – Treviso in primis – di regolamento dei conti appena le urne saranno sigillate. Tosi, per parte sua, scommette sulla discontinuità dei prescelti («Giovani, donne, gente pulita, è una squadra accattivante») e minimizza le proteste, attribuendole al “mal di carega”. I sondaggi, però, non sono incoraggianti né le risse in corso (prevedibili dopo l’esclusione, pressoché totale, dei bossiani dalle posizioni vincenti in lista) giovano all’immagine appannata del Carroccio. Eppure il sindaco di Verona (che molti pronosticano successore dell’amico Maroni alla segreteria di via Bellerio) ha dimostrato più volte di essere un abile stratega, difficile ipotizzare che si avvii ingenuamente al tonfo. Qual è allora il suo disegno? Egli stesso, nell’annunciare la fine dell’alleanza con il Pdl all’indomani del voto, ha dichiarato che l’obiettivo prioritario della Lega consiste nell’insediare “Bobo” alla presidenza della Lombardia per completare la “dorsale del nord”, concepita come un contropotere a qualsivoglia Governo di Roma. Un partito che diventa sindacato del territorio, sì, trasferendo il teatro della battaglia dal Parlamento alle regioni settentrionali. In tale prospettiva, il numero e il profilo politico dei deputati e senatori non è più essenziale. Decisiva è la loro fedeltà alla linea dei “barbari sognanti”. E se questo è il criterio, ebbene, è stato applicato senza sbavature.
Filippo Tosato – Il Mattino di Padova – 27 gennaio 2013