In questi giorni i giovani dipendenti pubblici, entrati negli ultimi anni in una Pa già in crisi, hanno letto sui giornali le vicende degli assenteisti cronici con i premi in busta paga. La fine della lunga transizione serve prima di tutto a loro.
Le manovre che hanno fermato contratti e stipendi individuali hanno permesso ai costi del personale pubblico di riallinearsi alla dinamica dell’inflazione, dopo anni in cui la corsa degli aumenti era stata molto più rapida di quella del costo della vita, ma hanno moltiplicato le ingiustizie interne agli uffici. Il blocco ha inevitabilmente fotografato la situazione che ha trovato nel 2010, nel nome del «chi ha avuto ha avuto». Ma c’è anche «chi non ha avuto» nulla, perché è stato assunto quando già i contratti erano fermi e i premi congelati. Ma le speranze in una burocrazia che si rinnova poggiano soprattutto sui più giovani, e per questo diventa fondamentale portare in fretta al traguardo un’operazione in cui riforma e manovra viaggiano in parallelo.
A collegare i due piani è la norma cardine più importante del capitolo dedicato dalla legge di Stabilità al pubblico impiego. Si tratta della regola che congela ai livelli del 2015 i fondi per la parte variabile degli stipendi fino a quando non sarà attuata la riforma della Pa su dirigenti e dipendenti, a partire dalle scrittura di regole uguali per tutti i vertici amministrativi che confluiranno nei «ruoli unici». A rendere questo il passaggio più importante non sono certo i risparmi prodotti dal blocco dei fondi (70 milioni), ma una ragione di sistema: con i fondi integrativi bloccati, il rinnovo contrattuale dovrebbe limitarsi a ritoccare la parte tabellare degli stipendi, distribuendo mini-aumenti uguali per tutti. La macchina dei contratti, con le sue ricadute sul secondo livello, potrà quindi partire davvero solo con i decreti attuativi della legge Madia. Il collegamento è tutt’altro che insensato: dopo aver investito parecchio su una riforma che punta su ruolo unico, valutazione e superamento delle vecchie piante organiche in favore di una programmazione basata sui fabbisogni, il Governo non può certo dimenticarla quando si mette a trattare sulle buste paga. Ma bisogna accelerare, anche per mandare in pensione un sistema del turn over che ipoteca qualsiasi slancio di cambiamento.
Gianni Trovati – 25 ottobre 2015