di Gian Antonio Stella. «Il medico non procede agli accertamenti diagnostici strumentali: è omicidio colposo». Quel titolo del sito web treccani.it/diritto pone un problema: è meglio essere multati dal ministero per aver prescritto troppi esami o rischiare un processo dei parenti del morto col pericolo d’esser condannati a risarcimenti milionari per non aver accertato tutto il possibile?
Dicono i medici più battaglieri contro l’andazzo delle cause giudiziarie che grandinano sempre di più su di loro e sulla sanità pubblica, che Beatrice Lorenzin ha fatto bene a mettere dei paletti sull’abuso dilagante di prestazioni, radiografie, analisi, farmaci. La medicina difensiva costa fino a 13 miliardi l’anno: il triplo dell’Imu sulla prima casa. Una tombola.
Manca però l’altro pezzo del problema. Cioè la tanto sospirata definizione delle norme che devono regolare il tema delle responsabilità nei casi di errori sanitari. Un bubbone esploso con conseguenze pesanti. Dicono tutto i dati dell’Associazione Nazionale fra le Imprese Assicuratrici: dal 1994 al 2013, nell’arco di vent’anni, le denunce contro medici accusati di avere sbagliato in modo più o meno grave sono passate da 3.222 a 12.036. Il quadruplo. Al punto che, diceva un recente dossier della stessa Ania titolato «Malpractice, il grande caos», gli assicuratori sono «in ritirata per l’aumento del contenzioso e la difficoltà di censire i rischi». Un disastro per i conti pubblici, un’incognita per le assicurazioni, un incubo per i medici, un affarone per certi studi legali che in questi anni si sono spinti a pubblicità allucinanti. Come il manifesto di due poppe prosperose coi fili di un ordigno al tritolo che uscivano dal reggiseno, un orologio e una scritta: «Protesi cancerogene e difettose». Sia chiaro: ci sono medici che commettono per sciatteria o incapacità sbagli imperdonabili. Da colpire duramente. Ma che senso ha la homepage di una rete di avvocati in franchising dominata da due figuri con cuffietta e mascherina sotto il titolo «Il killer silenzioso»?
«Le migliaia di azioni civili e penali che vengono intentate contro i medici», dice un documento del Collegio Italiano dei Chirurghi, «si concludono con il 98% di proscioglimenti in sede penale e l’80% di assoluzioni in sede civile». Ma ciò non basta ad alleggerire la situazione. «Faccio il chirurgo ortopedico e sono fino ad oggi “immacolato” nel senso che non sono mai stato condannato e non ho mai neppure avuto richieste di risarcimento — spiega Maurizio Maggiorotti, di A.m.a.m.i. — eppure devo pagare una polizza di diecimila euro l’anno. E ho colleghi costretti a pagare il doppio».
«Ho una busta paga di 5.500 euro netti al mese e come primario mi chiedono 24.000 di assicurazione», accusa l’ostetrico Nicola Surico, presidente del Collegio italiano dei Chirurghi, «o cambiano le regole o qui salta tutto: non puoi chiedere alle persone di pagare, per lavorare serenamente, una polizza di quattro o cinque mesi di stipendio».
Per non dire, appunto, del caso citato all’inizio: una sentenza della Cassazione che nel 2011 condannò per omicidio colposo un neurologo del centro cefalee di una Asl (già assolto in appello per «l’insussistenza di comportamenti omissivi penalmente rilevanti») perché, alle prese con una paziente con un forte mal di testa non aveva capito che aveva un aneurisma. Cosa che sarebbe stata accertata disponendo «Tac, Eeg, angiorisonanza e angiografia celebrale». Il tutto anche se una cartella medica del pronto soccorso «affermava che la paziente “non soffre di cefalea. Riferisce di improvvisa cefalea insorta circa tre ore fa”». «E di condanne per medici “rei” di non aver fatto fare esami che oggi sono nella lista di quelli su cui risparmiare», dice Nicola Surico, «ne abbiamo a bizzeffe».
Beatrice Lorenzin lo conosce bene, il problema. È da anni sul tavolo. È chiara anche la prospettiva peggiore: avanti così, dice Marco D’Imporzano, già presidente del Cic, «rischia di finire come in America dove le cause giudiziarie, motivate o del tutto pretestuose, sono diventate talmente tante che ormai i medici non vogliono più andare in sala parto. E nelle sale operatorie, per certi interventi chirurgici, trovi soltanto indiani o pakistani che, fatto il pieno di richieste danni, lasciano gli States per non tornarci mai più».
Il testo di legge in materia di professione sanitaria, proprio per lo strettissimo collegamento tra il business delle richieste danni (40 mila euro di risarcimento medio destinato a raddoppiare), le esasperazioni della medicina difensiva e la difesa della pubblica salute, doveva essere inserito nella legge di Stabilità. Ma non è detto passi neppure questa volta. Restano dissensi profondi. La prescrizione: di qua i medici chiedono sia di 5 anni, di là il Tribunale del malato e Cittadinanza attiva dicono che son troppo pochi. La responsabilità: di qua chiedono che la colpa dei medici «trovi un’autonoma collocazione», di là che resti disciplinata (omicidio colposo e lesioni colpose) dal codice penale. Il nodo più spinoso, però, è quello su «chi» deve dimostrare l’errore. Dicono i medici: il paziente che fa causa. Dice l’altra parte: no, è il medico che deve dimostrare di aver fatto tutto correttamente.
Come andrà a finire? Mah… Un’idea emersa proprio ieri dalle parti del governo è quella di colpire le liti temerarie. Cioè le cause scatenate solo nel tentativo di fare soldi e che si dimostrino del tutto immotivate. Insomma, il Walter Matthau che, in «Non per soldi ma per denaro», spinge Jack Lemmon a fingere dopo un incidente di essere semi-paralizzato per fregare l’assicurazione finirebbe finalmente per pagarla cara…
Il Corriere della Sera – 24 settembre 2015