I primi segnali usciti dal Governo, dopo il via libera di Bruxelles a una manovra che dovrà fermare il deficit/Pil 2017 all’1,8%, portano a un intervento di riduzione del cuneo fiscale e al contemporaneo avvio dell’Ape, l’anticipo pensionistico con penalizzazioni. Due mosse che hanno un costo variabile e impongono il reperimento di coperture certe.
Sul cuneo si potrebbe partire da oneri minimi per 1,5 miliardi, in caso di decontribuzione strutturale limitata ai soli neo-assunti di 4-6 punti, per salire fino a 8 miliardi se invece il taglio fosse per tutti i contratti vigenti. L’Ape per i 63enni, che prevede un taglio tra l’1 e il 3% per ogni anno di anticipo con la possibilità di arrivare eventualmente a quota 4% per gli assegni più elevati, prevede poi oneri tra gli 800 milioni e il miliardo, per un’operazione perlopiù finanziata dal sistema finanzairio privato con una struttura di prestiti a interessi controllati da rimborsare via Inps con la pensione a regime.
Due misure, dunque, che nella loro versione minima prevedono 2,5 miliardi da reperire tra minori entrate e maggiori spese. Martedì Giuliano Poletti e il sottosegretario alla presidenza del consiglio, Tommaso Nannicini, illustreranno lo schema di intervento sulle pensioni ai sindacati e non è escluso che si parli anche del cuneo, visto che proprio il ministro del Lavoro vuole trovare la soluzione per rendere «strutturalmente meno onerosi» i contratti a tempo indeterminato. I margini sono notoriamente stretti: la proroga con decalage della decontribuzione per le nuove assunzioni a tempo indeterminato e le decontribuzioni per il settore agricolo già prevedono oneri (coperti dalla Stabilità 2016) per 2 miliardi nel 2017 e 1,3 nel 2018. E negli stessi anni la detassazione dei premi di produttività dà margini per 580 milioni (di minori entrate a loro volta coperte). Si dovranno fare scelte nette e selettive se si vorrà davvero puntare a una riduzione del peso fiscale e contributivo sul lavoro. E si dovrà tenere conto delle altre poste già date per scontate, come il taglio dell’Ires (2,9 miliardi nel 2017 e 3,9 nel 2018 già previsti) o che potrebbero aggiungersi al menù fiscale della manovra, come i 3-5 miliardi necessari per anticipare al 2017 anche il primo taglio delle aliquote intermedie Irpef a beneficio del ceto medio, secondo quanto prospettato a più riprese dal presidente del Consiglio, Matteo Renzi.
Chiaro che letti con questi numeri i segnali del Governo conducono a una conseguenza in questa fase dell’anno persino scontata sul fronte degli impieghi: dando per acquisito un rafforzamento della spending review (tax expenditures comprese) bisognerà compensare in qualche modo il nuovo cuneo e l’Ape con la disattivazione della clausola Iva, che sull’anno a venire vale come si sa 15,6 miliardi. E nella compensazione si considereanno altre partite che appaion già oggi inevitabili: ci sarà un’altra proroga dell’ecobonus e ristrutturazioni (costa circa 1 miliardo nel 2017 e 950 milioni nel 2018 e si chiude il 31 dicembre)? Verrà prorogata o meno la maggiorazione sugli ammortamenti del 40% (vale 934 milioni nel ’17 e 1,2 miliardi nel ’18)?
Settimana prossima, oltre che di misure, intanto si comincerà a discutere del nuovo veicolo che le condurrà in porto: la legge di Bilancio riformata che prenderà il posto della vecchia legge di Stabilità. Pier Carlo Padoan sarà audito sul ddl in discussione giovedì prossimo dalle commissioni Bilancio di Camera e Senato. Nello stesso giorno saranno sentiti anche i rappresentanti della Conferenza delle Regioni e delle Province autonome, della Corte dei conti, dell’Istat e il presidente dell’Ufficio parlamentare di bilancio, Giuseppe Pisauro.
Davide Colombo – Il Sole 24 Ore – 22 maggio 2016