Anche se qualcuno l’ha paragonato all’italiano Buondì, l’impatto socio-culturale di Twinkie su un’America che dal 1930 ad oggi ha consumato 500 milioni di queste merendine ogni anno, è ben più smisurato. Il che spiega come mai l’annuncio della morte della «tortina spugnosa con ripieno cremoso» ha scatenato un’ondata di nostalgia e proteste che ha finito per coinvolgere il presidente Obama e vip quali il premio Nobel Paul Krugman, l’attore Rob Lowe e il governatore del New Jersey Chris Christie.
«Non abbiamo più le risorse finanziarie per andare avanti», ha dichiarato Gregory Rayburn, ad del colosso dolciario Hostess Brand, che dopo avere chiesto l’amministrazione controllata ha deciso di fermare le attività. Una decisione dovuta ai rincari degli ingredienti base delle merendine come zucchero e farina e all’alto costo della manodopera.
Ma se il colpo di grazia è venuto dalle crociate della first lady Michelle per un’alimentazione più sana e ipocalorica, (un singolo Twinkie contiene il 13% della dose giornaliera raccomandata di acidi grassi saturi) a salvare ciò che i media definiscono «un’icona americana» potrebbe essere suo marito Barack Obama. O almeno è ciò che sperano i firmatari di una petizione inviata alla Casa Bianca per chiedere di nazionalizzare l’industria dei Twinkie.
«Imploriamo Obama di salvare la nostra nazione dalla perdita del loro dolce cuore cremoso», si legge nel testo pubblicato sul sito internet «We the people». Nel frattempo infuria la corsa per accaparrarsi gli ultimi Twinkie ancora in vendita. Mentre nei supermercati sono ormai quasi introvabili, su eBay un pacco da 10 è stato acquistato per 59,99 dollari (normalmente il prezzo varia dai 3 ai 4 dollari).
Anche ieri sull’hashtag «#Twinkies» di Twitter numerosissimi fan si sono detti «devastati» per la notizia, con tanto di foto ricordo dagli scaffali ormai vuoti dei supermercati. Non da meno Facebook dove il gruppo Twinkies continua ad aumentare con il passare dei minuti, così come i siti che hanno cominciato a diffondere la ricetta delle merendine per permettere ai fan di «consolarsi» in casa.
Ma a dar retta agli addetti ai lavori, è solo questione di tempo prima che un altro colosso alimentare, non necessariamente americano, si faccia avanti per acquistarne i diritti. «È un marchio troppo importante per morire», pronostica John Pottow, docente di legge alla University of Michigan Law School. Il Nobel Krugman la butta in politica spiegando come «dietro l’ondata di nostalgia collettiva per il Twinkie da parte dei baby boomer c’è il rimpianto per un’era più giusta e innocente, quella post-guerra, quando le tasse per i superricchi arrivavano al 91%».
Sì perché, pur essendo nata nel 1930, la merendina diventò popolarissima negli anni 50, quando Hostess sponsorizzò la tv dei ragazzi The Howdy Doody Show e nel porta-pranzo di ogni bimbo americano il Twinkie diventò onnipresente. Perché, come ricorda sul New York Times lo scrittore di origine vietnamita Bich Minh Nguyen «era il vero biglietto per l’assimilazione nell’America multirazziale e multiculturale».
Da allora la merendina è entrata nel linguaggio giudiziario — «la Twinkie defense» è la difesa fasulla — e di Hollywood, dove, grazie al suo alto tasso di conservanti chimici, è stata immortalata in innumerevoli film come il simbolo farsesco dell’unica forma di vita organica capace di sopravvivere all’olocausto nucleare che un giorno renderà la terra inabitabile.
Alessandra Farkas – Corriere della Sera – 20 novembre 2012