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L’arcivescovo Zuppi e le tragedie: “La riforma del lavoro diventi la priorità, senza sicurezza non può esserci futuro. Al sistema produttivo serve un cambiamento all’insegna della tutela della vita”

La Stampa. Politici, imprenditori, sindacati, responsabili amministrativi, economici e sociali sono chiamati a «trarre finalmente e concretamente una lezione dalla concatenazione terribile delle ultime tragedie sui luoghi di lavoro: non c’è futuro senza sicurezza e occupazioni stabili». L’appello accorato è del cardinale Matteo Maria Zuppi, arcivescovo di Bologna, che esorta, in questo tempo proiettato «all’avvenire, a collocare tra le priorità assolute e improrogabili una riforma del sistema produttivo all’insegna della tutela della vita sopra tutto, non più del profitto».
Dieci morti in sette giorni, mentre nell’ultimo anno le cosiddette «morti bianche» sono aumentate del 38%: che cosa ci indicano questi numeri impietosi, dietro i quali ci sono vite spezzate?
«Dobbiamo trarre lezioni. Ma non solo a parole. Quello che papa Francesco dice rispetto alla pandemia – “peggio di questa crisi c’è solo il dramma di sprecarla” – vale per tanti ambiti: anche da queste sciagure bisogna uscire definitivamente, ricominciando senza l’inconsapevolezza, l’indifferenza, l’egoismo e la presunzione di prima. La concatenazione terribile di questi ultimi giorni ci deve finalmente spingere oltre la ciclica lamentela».
Che cosa occorre subito?
«Impegno e controlli determinati affinché la piena sicurezza negli ambienti di lavoro sia garantita. Se facciamo tesoro di questi giorni di “dopo” i drammi, possiamo impedire altre situazioni che portano a piangere a causa di scelte non compiute, rimandate, verifiche non esercitate. Questa svolta è fondamentale tanto più in un momento in cui si deve ricostruire gran parte delle occupazioni dopo la tempesta sanitaria del Covid».
Su quali «pilastri» va basata questa ricostruzione?
«Oggi è un momento in cui si guarda agli anni a venire, ci sarà possibilità di investire, che significa una potenzialità in più e una responsabilità in più, perché la ripartenza deve garantire un lavoro stabile e sicuro. Tutte e due le cose insieme. E quindi serve un sistema rinnovato affinché non sia una solo una premessa che diventa poi propaganda e basta. Deve essere chiaro un concetto: senza lavoro sicuro e stabile non abbiamo futuro. L’umanità ha bisogno vitale di protezione della persona, e stabilità attraverso occupazioni con cui si possa guardare all’avvenire senza essere vittime del presente, indifesi ed esposti alla speculazione, al precariato».
Quale posto dovrebbe avere l’impiego nella vita della gente?
«Credo debba essere ripensato anche il tempo del lavoro. Non dobbiamo mai dimenticare che è fatto per l’uomo, quindi quando il guadagno viene prima della persona, qualcuno paga un caro prezzo. C’è sempre anche l’imponderabilità, ma se al centro ci sono le persone e non la produttività e il profitto, si crea un circolo virtuoso che porta alla sicurezza, perché i rischi vengono ridotti al minimo. E questo rientra nel grande e decisivo tema della solidarietà».
In che senso?
«Anche nel mondo di mestieri e professioni è necessaria la solidarietà, a cominciare dalla difesa della vita. E poi, non può più esserci una percentuale così alta di gente che è senza lavoro, oppure se ce l’ha non sa se la sera torna a casa vivo e in salute. Troppe volte sentiamo di persone che a un certo punto pur di lavorare sono disposte a tutto. Ecco che dobbiamo riflettere sui nuovi schiavi. E agire per debellare questa piaga vergognosa».
Quali dovrebbero essere le prime mosse?
«Affrontare il mercato nero. È incredibile che possa esserci ancora. Pensiamo al caporalato, è qualcosa di assurdo, eppure è ancora tremendamente diffuso. Urge una scossa, uno sforzo ulteriore, una determinazione diversa per combattere questa che è la vera grande battaglia. Altrimenti finiremo prestissimo a scontrarci in guerre tra poveri».
Chi la deve combattere soprattutto?
«È imprescindibile la corresponsabilità di politica, imprenditori, sindacati, responsabili amministrativi e sociali. Anche perché è nell’interesse di tutti».
Ne è sicuro?
«Quando in una società prevale l’angoscia del lavoro che manca, sta per finire o è pericoloso, ne va di mezzo la qualità della vita, e tutto viene messo in discussione: ecco che si diffonde l’insicurezza, alimentando paure e ansie, mettendo così a rischio ogni ambito di tutte le comunità di persone».
Ieri c’è stata una nuova ondata di sbarchi a Lampedusa, oltre 1.300 persone, due settimane dopo l’ennesima strage di morti in mare: come va affrontata la questione migrazioni?
«La sfida è coniugare umanità e prudenza. I governanti, insieme all’Europa, sono chiamati a trovare soluzioni che finalmente permettano di non reagire solo in emergenza. Serve una visione, che comprenda dopo l’accoglienza e l’integrazione anche l’inserimento nel mondo del lavoro e la formazione. I corridoi umanitari sono un’esperienza efficace. E non devono più accadere omissioni come il 23 aprile scorso, quando 130 persone sono morte nel Mediterraneo dopo avere implorato per due giorni un aiuto che non è arrivato. La vita va sempre salvata».—

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