Latte, balzo del 10% per le vendite all’estero. Le esportazioni nel 2015 a quota 2,2 miliardi. Oggi l’assemblea degli imprenditori lattiero-caseari di Assolatte
Il nome della patologia che affligge il settore lattiero caseario in Italia è “competitività”. Dagli allevamenti, fino alla distribuzione passando dalla trasformazione, il settore latte vive da tempo un clima di conflittualità che ha inciso in modo pesante sulla sua competitività. E la concorenzza estera intanto non dà tregua.
Questa mattina a Milano, Giuseppe Ambrosi, presidente di Assolatte all’assemblea degli associati si toglie più di un sasso dalla scarpa. Dopo un anno trascorso sotto attacco a causa del braccio di ferro con gli allevatori sul prezzo del latte, dopo stabilimenti bloccati e boicottaggi più o meno minacciati sulle vendite di latticini, Ambrosi parla apertamente di «deriva polulista» e di «atmosfera fortemente negativa attorno a noi», attorno all’industria, che occupa stabilmente più di 25mila addetti.
La fase congiunturale non è brillante, la produzione perde qualche punto, i consumi sono stazionari, l’import incalza. Solo dall’export continuano ad arrivare segnali incoraggianti: nel 2015 le vendite all’estero sono cresciute del 10%, superando le 360mila tonnellate e i 2,2 miliardi di controvalore. «Segno – spiega Ambrosi – che, nonostante tutto, i prodotti dell’industria di trasformazione continuano a essere apprezzati, mentre le imprese sono costantemente a caccia di nuovi mercati di sbocco». Ma se l’industria italiana cresce all’estero, sono proprio i concorrenti esteri a crescere sul mercato interno. Bastano due numeri per comprendere quanto sia profondo il tema della competitività della filiera latte: nell’ambito formaggi, l’Italia importa a un prezzo di tre euro il chilo franco frontiera; esporta invece a 6,2 euro il chilo, sempre franco frontiera. Tra i motivi di questa disparità, il costo della materia prima più alto rispetto a quello degli altri Paesi Ue. E il fatto che comunque l’Italia deve importare più del 30% del proprio fabbisogno.
Anche con la Grande distribuzione il confronto non è facile. «La crescita della pressione promozionale» da parte della Gdo ha superato quota 29% sul totale del valore delle vendite di latticini. «Siamo la forza motrice del settore – spiega Ambrosi – ma vogliono a tutti i costi disegnarci in maniera negativa». Gli esempi non mancano. «In tutto il mondo il prezzo del latte diminuisce? Veniamo immediatamente chiamati affinché l’industria – spiega Ambrosi – si comporti in modo responsabile. Che poi vuol dire che dobbiamo pagare i nostri fornitori più di quanto il mercato consente, anche se facendolo metteremmo a rischio le nostre aziende. Se non lo facciamo, prima veniamo aspramente criticati poi, nel silenzio assordante delle istituzioni che addirittura smettono i panni di arbitri per vestire quelli di tifosi, arrivano le manifestazioni e i blocchi degli stabilimenti che ci impediscono di lavorare. E se sotto ricatto, non trovo altri termini per definire boicottaggi e assedi davanti ai cancelli, accettiamo prezzi fuori mercato, dicono che avremmo dovuto fare di più».
Ed è solo grazie all’intervento dell’Antitrust – aggiunge il presidente di Assolatte – che non sono arrivati i prezzi minimi imposti e i pagamenti del latte in base ai costi agricoli. Sarebbe stato un altro colpo durissimo alla competitività del sistema industriale. C’è quindi la questione “made in Italy” connessa all’import di latte e semilavorati.
«Tutte le produzioni Dop e Igp – rimarca Ambrosi – rispettano i disciplinari produttivi. L’import di materia prima e latte è essenzialmente dovuto alla crescita dell’export dei nostri prodotti e alla insufficienza di latte in Italia. Le materie prime che arrivano nel nostre imprese per essere lavorate sono controllate per quanto riguarda qualità e salubrità. I nostri prodotti li immettiamo sul mercato con il nome e i marchi delle nostre famiglie. Più di così, che cosa possiamo fare?».
Roberto Iotti – Il Sole 24 Ore -15 giugno 2016