A meno di due settimane dalla fine del sistema europeo delle quote latte – operativo dal 1984 – gli allevatori italiani guardano con estrema preoccupazione al futuro. E con gli attuali andamenti del prezzo del latte (35 cent il litro, in calo del 15% su un anno) e con l’ipoteca di uno splafonamento di quota di circa il 4% con conseguenti multe anche nell’ultima campagna, non c’è da dargli torto.
In queste settimane inoltre è partita la corsa all’affitto di quote proprio per coprire la produzione eccedente, e i prezzi vanno alle stelle: dai 7 fino ai 15 cent il litro.
Ma quello che più recriminano gli imprenditori zootecnici è che, contrariamente a quanto accaduto in altri Paesi dell’Unione, in Italia si è pensato troppo tardi a come affrontare l’uscita dalle quote. E il così detto soft landing ancora non si vede. Per il momento c’è il pacchetto latte deciso dal ministro Maurizio Martina, c’è un progetto di etichettatura del latte italiano e ci sono misure a sostegno della promozione dei grandi formaggi Dop.
In prospettiva ci sono anche le prime misure europee che il commissario Ue, l’irlandese Phil Hogan, presenterà lunedì: accesso al credito dedicato al settore latte in collaborazione con la Banca europea degli investimenti e misure a sostegno della promozione. Di più non c’è. L’Italia è il vaso di coccio in mezzo ai vasi di ferro, cioè i grandi Paesi produttori del Nord Europa, dove la zootecnia da latte e ben più strutturata, dove i costi produttivi sono decisamente più bassi e dove le misure di soft landing sono state pensate tempo fa.
Infine gli allevatori sottolineano la secca perdita di capitale dopo le centinaia di milioni di euro spesi per acquistare quote ed evitare eccedenze produttive, o per aumentare la competitività delle aziende. A fronte della perdita secca, sorridono gli allevatori che conferiscono il latte per la produzione di parmigiano reggiano. Il consorzio ha deciso la conversione delle quote latte in quote formaggio: a due settimane dalla fine del sistema, ben 2.400 allevatori, quasi il 70% del totale del comprensorio, ha aderito all’iniziativa.
«In un quadro davvero preoccupante, quella del consorzio del parmigiano reggiano è una buona iniziativa», dice Monica Venturini, conduttrice assieme alla famiglia di un allevamento di 200 vacche a Noceto, in provincia di Parma: oltre 600mila euro investiti negli anni nell’acquisto di quote. «Cosa mi aspetto per i prossimi mesi? La volatilità del prezzo del latte. E con prezzi instabili è difficile fare programmazione e investimenti. Il pacchetto latte va bene – aggiunge Monica – ma è debole e labile. Partiamo tardi, mentre altri sono più avanti».
Gianluigi Fiamenghi si definisce il più grande allevatore di Cremona. Consigliere di Latteria Soresina ha 900 vacche in lattazione, più di quattro milioni investiti per portare la produzione da 11mila a 98mila quintali. Un mutuo che scadarà nel 2020 per comperare quote mentre per la campagna in corso ha già speso 150mila euro per affittarne. «Sono contento che finisca il sistema delle quote, ci hanno mangiato e speculato in troppi. Viva quindi il libero mercato – dice Gianluigi – e gli imprenditori capaci perchè a fronte di un prezzo basso della materia prima bisogna saper ridurre i costi, investire in macchinee dare efficienza all’allevamento. Solo così si supererà l’uscita dal sistema quote».
«Sono convinto che la svolta arriverà solo dalla valorizzazione dei nostri grandi formaggi Dop», aggiunge Walter Giacomelli, presidente della coperativa Gardalatte, 700 vacche in stalla, 2,5 milioni spesi per acquistare quote così la produzione è cresciuta da 1.300 a 71mila quintali. «Certo – dice Walter – a questi prezzi non c’è redditività, ma sono fiducioso nel programma per il mercato e l’esportazione messo a punto dal consorzio del grana padano».
Su una maggiore capacità di esportazione punta Fabio Curto che gestisce un allevamento di 120 capi con caseificio interno a Valdobiaddene (Treviso). «La filiera dei prodotti – dice Curto – è la nostra unica forza. Se non riusciamo a valorizzarla, difficilmente reggeremo rispetto a Olanda, Belgio, Germania o Francia». Luigi Barbieri ha l’allevamento a Seniga (Brescia): 500 capi e oltre un milione di euro investito nell’acquisto di quote. «Quote acquistate – dice – in base a una pianificazione aziendale seguendo le regole e subendo la concorrenza sleale di chi non ha mai pagato le multe. Adesso il sistema finisce e non c’è un paracadute che si apra. I nostri titoli produttivi perderanno valore, il mercarto è quello che è, si vende sottocosto e vedo più preiccupazaioni che opportunità. L’univa via è la crescita della domanda internazionalde dei nostri formaggi Dop. Magari l’Expo ci darà una mano»
Il Sole 24 Ore – 21 marzo 2015