Le misure decise ieri a Bruxelles per affrontare la crisi di mercato nel settore lattiero caseario, almeno nell’immediato, non avranno effetti. Due le strategie che la Commissione agricola Ue si è posta: abbassare il livello della produzione, ridurre la quantità di latte sul mercato. L’obiettivo finale è quello di far aumentare i prezzi della materia prima e rendere il latte più remunerativo per gli allevatori. Dalle prime proiezioni, tuttavia, la manovra non sembra sortirà gli effetti voluti, almeno nel breve periodo.
Mentre a medio-lungo termine, complice anche una generalizzata ripresa degli acquisti mondiali, il prezzo del latte potrebbe raggiungere soglie più soddisfacenti.
Il Consiglio agricolo ieri ha deciso di innalzare a 218mila tonnellate l’intervento per il latte in polvere scremato e a 100mila tonnellate quello per il burro. Gli analisti del settore valutano che questa decisione inciderà ben poco sulle quantità di “latte consegnato” in Europa. Una prima proiezione dei dati elaborati in latte equivalente dice che dal mercato verranno tolte poco più di 2,33 milioni di tonnellate di latte, pari all’1,53% delle consegne totali (152mila tonnellate) del 2015. Una goccia nel mare, quindi. C’è poi da valutare il fattore prezzo. All’intervento, il latte in polvere scremato è pagato 1.698 euro la tonnellata. Ma sul mercato i listini sono differenti. A fine 2015 la polvere di latte quotava 24,8 euro il quintale. Questo valore tuttavia non regge il confronto con la media dei prezzi all’export dei formaggi europei: 51,08 euro il quintale. Appare evidente come ad allevatori e trasformatori convenga molto di più produrre formaggi piuttosto che inviare latte alla trasformazione in polvere.
L’altro pilastro della strategia europea è quello di indurre a un taglio temporaneo della produzione, attraverso accordi tra associazioni di categoria e cooperative. Il tutto applicando l’articolo 222 del Trattatto del Mercato unico. Ora, la domanda principale è: chi ridurrà la produzione di latte? Secondo i trader e gli analisti, certamente non i Paesi del Nord Europa che, in vista dell’abrogazione del regime delle quote latte, hanno realizzato forti investimenti per aumentare produzione (non più contingentata) e produttività. La mappa del tasso di autoapprovvigionamento di latte in Europa evidenzia che – su base 100 – i Paesi del Centro Europa (Inghilterra, Francia, Germania, Olanda, Danimarca, Austria) hanno un tasso di autoapprovvigionamento del 128,3%. Paesi baltici e scandinavi sono al 109,6%; Europa dell’Est al 112,6%. Il vaso di coccio sono i Paesi dell’Europa del Sud (Portogallo, Spagna, Italia e Grecia) che sono al 71,5%. È evidente che prima di ridurre le produzioni come indicato da Bruxelles, i Paesi con eccedenza produttiva punteranno a colmare il divario di autoapprovvigionamento dei Paesi del Sud Europa. Bisognerà attendere le procedure di applicazione dell’articolo 222, ma il rischio per Paesi come l’Italia – con costi di produzione del latte più alti rispetto al Nord e Centro Europa – è che centinaia di aziende marginali, collocate in aree svantaggiate e con un basso numero di capi allevati sia costretta a rinunciare e quindi a chiudere l’attività. Un ulteriore danno dopo l’ulteriore beffa di Bruxelles.
Roberto Iotti – Il Sole 24 Ore – 16 marzo 2016