Uscite dal portone di Bruxelles, le quote latte rischiano ora di rientrare dalle finestre dei singoli Stati membri. A un anno dalla loro abolizione, la Commissione europea prova ad arginare la crisi che ha travolto il settore, con il mercato inondato dai surplus e prezzi al minimo storico, consentendo agli Stati membri di ridurre volontariamente la produzione.
Con la pubblicazione avvenuta nei giorni scorsi sulla Gazzetta ufficiale Ue dei due regolamenti esecutivi sulla «pianificazione produttiva», anche cooperative e organizzazioni di produttori potranno stipulare accordi per pianificare l’offerta, secondo il modello già sperimentato per i grandi formaggi Dop. Una decisione frutto del compromesso raggiunto in sede di Consiglio Ue tra chi chiedeva una misura di gestione comune della crisi e i partner contrari a ogni intervento sui mercati.
Un altro passo sulla strada della rinazionalizzazione della prima politica comune europea, che difficilmente potrà risolvere una crisi provocata da un eccesso d’offerta su scala globale (con la produzione europea cresciuta del 5% a gennaio su base annua). Senza contare che eventuali accordi interni ai singoli Stati membri rischiano invece di mettere fuori gioco le realtà meno competitive (come l’Italia) a favore dei grandi paesi produttori.
Non a caso i partner che si oppongono a un intervento a livello europeo sono gli stessi dove la produzione è cresciuta di più: Germania, Olanda e Irlanda, che insieme al Regno Unito hanno ribadito che non intendono in alcun modo accettare nuove limitazioni della produzione dopo la fine delle quote latte.
La crisi non dà segni di segni di miglioramento: solo sul mercato Ue ci sono almeno 700mila tonnellate di surplus, i prezzi sono scesi di un ulteriore 8% nel primo trimestre 2016. In Francia il governo ha varato un decreto, ora all’esame dell’Assemblea nazionale, per bloccare per cinque anni la vendita a titolo oneroso dei contratti per la cessione del latte sottoscritti dagli allevatori con le industrie. Molti produttori infatti hanno già deciso di gettare la spugna, incassando un prezzo per la vendita dei contratti che varia tra 80 e 130 euro per tonnellata. Parigi ha fatto sapere a Bruxelles che non intende stabilizzare unilateralmente la raccolta, per non dare vantaggi ad altri Stati membri che continuerebbero a produrre senza limiti, conquistando magari nuovi spazi sul mercato francese. L’impegno per la riduzione deve essere assunto a livello europeo, oppure non se ne fa nulla.
Sulla questione l’Europarlamento ha convocato l’intera filiera europea in commissione Agricoltura, il 25 maggio, per un tentativo di compromesso ma anche per cominciare a discutere la revisione di medio termine della Pac, in programma nel 2017, che non potrà non avere come priorità la gestione delle sempre più frequenti crisi di mercato. Anche perché, parallelamente, partirà il negoziato sulla revisione del bilancio pluriennale e, di fronte alle nuove emergenze, i fondi all’agricoltura tornano più a rischio che mai.
Alessio Romeo – Il Sole 24 Ore – 16 aprile 2016