Se il Veneto fosse come Bolzano, ogni anno, nelle sue casse, entrerebbero 18 miliardi di euro. E l’Italia andrebbe in default, sicché non ha tutti i torti chi dice che l’autonomia fiscale spinta, «speciale», equivarrebbe nei fatti ad una secessione, con la Libera (e ricca) Repubblica Veneta determinata a mollare l’Italia, dopo averla mandata in malora. Senza contare che quei 18 miliardi, secondo gli studiosi, sono una cifra enormemente superiore a quella davvero necessaria per gestire le 23 competenze chieste dal governatore Luca Zaia.
Sono, queste, alcune delle riflessioni nate dalla commissione Bilancio che ieri, per prima, ha potuto discutere in consiglio regionale il progetto di legge che Zaia vorrebbe utilizzare come base di trattativa col governo. Stando ai numeri presentati dai professori del Bo Mario Bertolissi e Carlo Buratti, insieme ai dirigenti del Bilancio Gianluigi Masullo e della Programmazione Maurizio Gasparin, l’applicazione del principio dei 9/10, quello per cui verrebbe trattenuto in Veneto il 90% del gettito Iva, Irpef e Ires prodotto qui, porterebbe nelle casse della Regione 24,5 miliardi di euro l’anno (9,5 miliardi dall’Iva, 12,5 miliardi dall’Irpef, 2,5 miliardi dall’Ires). Da questi andrebbero detratti i 5,7 miliardi già oggi oggetto di compartecipazione Iva, arrivando così ai 18,8 miliardi di cui si diceva, ma poi sommati i tributi propri della Regione, dal bollo auto (594 milioni) all’Irap (2,7 miliardi), per una cifra finale, alla voce «entrate», di 22,9 miliardi. Per capirsi, nel 2018 il bilancio della Regione, tolte le partite di giro (2,8 miliardi), ammonterà a 12,8 miliardi di euro. La metà.
Ma per gestire le 23 competenze chieste da Zaia occorrono tutti questi soldi? La risposta, secondo lo studio pubblicato su laVoce.info da Andrea Filippetti, economista dell’Istituto di Studi sui Sistemi Regionali Federali e le Autonomie del Cnr, è no. Filippetti ha calcolato la quota di bilancio statale (in termini di spesa) riferibile alle competenze che la Regione chiede allo Stato. La cifra che ne esce, come si vede nella tabella, è complessivamente di 2,9 miliardi, di cui 2,7 miliardi (il 93%) per la sola istruzione. «L’ammontare delle funzioni addizionali da svolgere per le Regioni risulta una quota risibile rispetto al totale delle spese regionali» fa notare Filippetti, secondo il quale «piuttosto che partire dai saldi fiscali, il ragionamento su una maggiore autonomia dovrebbe basarsi sulle materie e sulle funzioni che le Regioni desiderano gestire in proprio, quantificarne l’ammontare, e poi discuterne le modalità di finanziamento». Altro che 9/10.
Il punto, però, è dibattuto: altri studiosi includono nella cifra anche i costi generali, che pure verrebbero regionalizzati, salendo così da 2,9 a 13 miliardi, mentre Zaia continua a ripetere che il suo board tecnico (di cui fanno parte Buratti e Bertolissi) ritiene i 9/10 «indispensabili» per finanziare le 23 competenze richieste. «E però lo stesso Zaia, nei suoi progetti di legge del 2012, si basava su cifre assai diverse e più contenute – chiosa il capogruppo del Pd Stefano Fracasso – l’istruzione era sempre la voce più consistente, con 3,3 miliardi, ma le altre materie ammontavano a poche decine di milioni, come la tutela dei beni culturali, 33 milioni, o la ricerca scientifica, 39 milioni. Numeri lontanissimi dai 18 miliardi pretesi ora dallo Stato». Per questo l’opposizione ha chiesto (richiesta accolta dal presidente della commissione Marino Finozzi, Lega) di poter disporre di un report che a fronte delle maggiori entrate previste dai 9/10 indichi puntualmente le voci di uscita, competenza per competenza.
Fermo restando che il governo, al riguardo, è già stato chiarissimo: l’autonomia non può mettere a rischio gli equilibri di finanza pubblica né derogare al principio costituzionale di solidarietà. Che significhi, l’ha spiegato il ministro per la Coesione Claudio De Vincenti: «Poniamo che in materia ambientale lo Stato oggi spenda 80 e le Regioni 20; se si concorda una diversa ripartizione delle competenze, la Regione salirà per esempio a 50 e lo Stato scenderà, in pari misura, a 50. E alla fine sempre 100 si spenderà». Più chiaro di così.
Marco Bonet – Il Corriere del Veneto – 31 ottobre 2017