È Palazzo Chigi ad approvare la chiusura degli impianti di sci. Lo fa a metà pomeriggio, dopo un lungo confronto con Roberto Speranza. Scelta difficile e inevitabile, perché la variante inglese allarma. Presa all’ultimo momento, a causa di una crisi politica che ha congelato per giorni ogni possibile decisione. Mario Draghi sposa comunque la linea della prudenza, pur ritrovandosi tra le mani — e fuori tempo massimo — un dossier scottante. E nonostante la prevedibile protesta dei governatori. Lo fa senza farsi condizionare dalla propaganda degli “aperturisti” a prescindere, guidati da Matteo Salvini. E progettando piuttosto i ristori, che saranno garantiti già nelle prossime ore.
Nel primo giorno da presidente del Consiglio “operativo”, l’ex banchiere centrale è costretto a toccare con mano il rumore di fondo di una maggioranza così eterogenea. Deve decidere sullo sci, sapendo di scontentare molti. Ma c’è di più. Di buon mattino, l’esecutivo deve fare i conti anche con le dichiarazioni di Walter Ricciardi sulla prospettiva di un lockdown totale. L’allarme del consulente di Speranza è concreto, perché si fonda sui numeri della progressione della variante inglese nelle aree più colpite (ieri, per dire, Bolzano ha sancito un blocco pressoché totale, che va addirittura oltre la zona rossa). È però la tempistica delle dichiarazioni del tecnico a mettere in difficoltà l’esecutivo e, soprattutto, il ministro della Salute, perché non risponde fino in fondo a quella sobrietà di comunicazione sollecitata da Draghi.
Indipendentemente da Ricciardi, è evidente che la nuova fase reclama alcune novità. Su pressione del centrodestra — e sulla scia della rocambolesca chiusura delle piste sulla neve — l’esecutivo progetta un cambio di passo nel rapporto con il Cts. Già oggi, in questo senso, si terrà una riunione riservata tra il governo e gli scienziati, per provare a introdurre due novità: affidare le dichiarazioni all’esterno a un solo membro del Comitato, chiedere che le valutazioni vengano comunicate prima ai ministri e solo dopo all’opinione pubblica.
Sia chiaro: quella di ieri resta la coda caotica della recente crisi di governo. Che non cambia l’impostazione di Palazzo Chigi sul dossier Covid. Pragmatismo e orizzonte: ecco le due parole che riassumono l’approccio di Draghi all’emergenza. Pragmatismo significa non escludere nulla, se necessario. Né misure restrittive, né interventi drastici. Lo insegna l’esempio di Angela Merkel, che ha sancito il lockdown della Germania da dicembre ad oggi. E il premier si muoverà con la stessa prudenza delle altre Cancellerie. Non si lancerà in riaperture avventate, cercando semmai di tutelare le lezioni scolastiche. Ma accanto all’eventuale contenimento, pretende uno scatto sui vaccini.
È l’orizzonte, quello che mancava durante le serrate di un anno fa. La luce in fondo al tunnel, l’unica strada per far ripartire i consumi. Per questo, studia come potenziare il piano vaccinale. L’obiettivo è immunizzare trecentomila persone al giorno entro marzo, addirittura mezzo milione per la primavera. Si prepara a predisporre una campagna h24, coinvolgendo i medici di famiglia e impiegando ancora di più l’esercito per allestire palazzetti dello sport o altre grandi strutture idonee. Ma l’ex banchiere centrale studia anche mosse decise sul fronte europeo, dove intende far valere già nei prossimi giorni il suo peso.
Dovrebbe contattare presto la presidente della Commissione Ursula von der Leyen. L’obiettivo è raccordarsi, comprendere se è possibile garantire davvero le consegne promesse dai colossi farmaceutici. La speranza è che nel frattempo anche il vaccino italiano Reithera veda la luce entro giugno. Resta sullo sfondo, ma solo per ora e soltanto finché resistono opzioni meno radicali, lo scenario alternativo indicato pochi giorni fa da un portavoce della Commissione: assicurare ai singoli Stati membri i brevetti necessari per la produzione. Facendo valere, in assenza di altre possibilità, le clausole continentali evocate dal presidente del Consiglio europeo Charles Michel per permettere agli Stati membri la produzione in patria di un prodotto di cui esiste penuria nell’approvvigionamento.
Non c’è tempo da perdere. Anche perché, nonostante gli slogan sulle riaperture, la variante inglese rischia di diventare dominante nei prossimi venti giorni. Costringendo Salvini all’ennesima giravolta sul Covid.