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Lavorare nella Pa ai tempi del Jobs Act. Ecco quando e dove i decreti attuativi della riforma si applicano al Ssn

sanita 258x258Ora che sono stati definitivamente pubblicati sulla Gazzetta Ufficiale (n. 221 del 23 settembre 2015) gli ulteriori quattro decreti delegati, il Jobs Act è ormai completamente in vigore. Questi ultimi sono datati 14 settembre e sono entrati in vigore il 24 settembre. Il corpo normativo che ne deriva è corposo e non sempre agevole da interpretare;, anche per le abrogazioni di normativa pregressa che possono lasciale talune perplessità. Prima di entrare nel dettaglio si può tentare di fare una sintesi valutativa del corpo normativo, precisando che per la generalità dei lavoratori le nuove regole operano una restrizione di diritti consolidati da tempo. Ne sono un esempio quasi allegorico le nuove contestatissime regole sul licenziamento illegittimo e quelle sui controlli a distanza sul lavoratore. Al contrario, nei confronti di specifiche categorie o fasce di lavoratori – con caratteristiche di maggiore fragilità o peculiarità sociale – la normativa ha introdotto notevoli benefici e miglioramenti.

Proviamo in modo sistematico ad affrontare nel dettaglio i contenuti degli 8 decreti, limitando l’analisi alle disposizioni sul pubblico impiego. Innanzitutto va segnalato che i decreti legislativi n. 22 e nn. 148,149 e 150 non riguardano in alcun modo i lavoratori delle amministrazioni pubbliche. Infatti le relative materie sono estranee ai particolari aspetti attinenti al reclutamento e del collocamento in disponibilità del dipendente pubblico.

Il decreto 23/2015 concerne il nuovo contratto di lavoro a tutele crescenti. Vengono rivisitate le disposizioni sui licenziamenti o. meglio, quelle sulle conseguenze della dichiarazione di illegittimità del licenziamento da parte del giudice. Le norme riguardano anche i lavoratori pubblici, escluse le parti che toccano il licenziamento per giustificato motivo oggettivo e i licenziamenti collettivi, in buona sostanza il reintegro la cosiddetta tutela reale – rimane soltanto in caso di licenziamento discriminatorio, nullo o intimato in forma orale: nelle altre ipotesi il lavoratore fruisce della sola tutela obbligatoria, vale a dire di una indennità risarcitoria. Due particolarità del decreto: si applica soltanto ai lavoratori assunti a tempo indeterminato a decorrere dal 6 marzo 2015 e non riguarda i dirigenti.

Riguardo alle norme in materia di tutela della genitorialità, le disposizioni del decreto legislativo 80/2015 si articolano tra implementazioni della normativa obbligatoria preesistente, parziale ampliamento delle norme di favore della genitorialità e disposizioni di tutela totalmente nuove. Le norme in questione vanno a modificare il Tu 151/2001 delle disposizioni legislative in materia di tutela e sostegno della maternità e della paternità. Di tutti i decreti delegati questo è il più trasversale in quanto a destinatari, come si comprende già dall’articolo 1, che afferma che il decreto delta norme «per la generalità dei lavoratori».

Anche nel successivo articolo 24 si rileva la formulazione «la dipendente di datore di lavoro pubblico o privalo». Quindi, anche nell’ambito della normativa delegata in commento, le norme devono essere applicate a tutti i lavoratori e le lavoratrici, compresi quelli delle aziende sanitarie, salvo esplicita previsione contraria. In tal senso, le uniche disposizioni che limitano espressamente il proprio campo di applicazione sono quelle che dettano nuove norme di tutela degli esercenti attività di lavoro autonomo o libero professionale (articoli 12-20) e le modifiche alle norme in materia di telelavoro, che l’articolo 23 del decreto rivolge espressamente ai soli datori di lavoro privato. Tra le disposizioni più significative si segnalano: il computo dei giorni in caso di parto anticipalo e la sospensione del congedo per maternità (articolo 2), l’aumento da otto a dodici anni del congedo parentale, disposizioni di salvaguardia per i congedi parentali ad ore, riduzione del preavviso per la relativa domanda da quindici a cinque giorni (articolo 7), astensione dal lavoro per le donne vittime di violenza di genere (articolo 24).

Il più corposo degli otto decreti (ben 57 articoli) è il 80/2015 che tratta di mansioni e tipologie di contratti di lavoro. Si segnala per importanza l’articolo 3 che riscrive completamente l’articolo 2103 del codice civile. La innovazione maggiore consiste nella possibilità di inquadramento contrattuale inferiore o demansionamento – evento fino a ora vietato anche se la Cassazione ne ha riconosciuto la legittimità m particolari ed eccezionali situazioni – quando esso sia finalizzato allo «interesse del lavoratore alla conservazione dell’occupazione».

 In realtà già lo scorso anno la legge 114/2014 aveva ammesso con l’articolo 5 per la prima volta – per i soli pubblici dipendenti – la possibilità del demansionamento. La normativa di cui all’articolo 3 si applica anche al pubblico impiego in quanto il codice civile, per espressa prescrizione del decreto 165/2001, rientra tra le fonti normative del rapporto di lavoro con le pubbliche amministrazioni, con le sole eccezioni del comma 7 (a opera dell’articolo 52. comma 1 dello stesso Digs 165/2001) e del comma 8 (articolo 4. comma 2 della legge 114/2014). A tale proposito, va detto che i due articoli sopra citati della legge 114 (il 4 e il 5) si riferiscono all’articolo 2103 del Cc nella precedente versione, per cui in sede interpretativa è necessario effettuare una ricostruzione sistemica della norma (ad esempio, il terzo periodo del primo comma è diventato il comma 8).

Il decreto 81 si occupa di lavoro part time, tempo determinato, somministrazione di lavoro, lavoro accessorio, lavoro intermittente. apprendistato: soltanto queste due ultime tipologie sono del tutto estranee ai dipendenti pubblici. Le altre si applicano alla generalità dei lavoratori, seppure con alcune deroghe e precisazioni. Infatti, per il part time l’articolo 12 stabilisce due esplicite esclusioni e la somministrazione di lavoro è praticabile solo nella forma a tempo determinato. Il pubblico impiego è anche escluso dalla trasformazione delle collaborazioni in lavoro subordinato (articolo 2, comma 4).

Ma la disciplina più complessa è senz’altro quella del lavoro a termine, soprattutto per le esclusioni contenute nell’articolo 29. Il coordinamento delle nuove disposizioni con le precedenti diventa in questo caso molto arduo perché il Dlgs 81/2015 ha addirittura abrogato il decreto 368/2001. L’articolo 55. comma 1. lettera b), del nuovo decreto espressamente provvede ad abrogare l’intero 368 con la sola eccezione dell’articolo 2 (trasporto aereo, la cui abrogazione slitta dal 1° gennaio 2017) e ferme restando le disposizioni sui vincoli finanziari dettate dall’articolo 9, comma 28. della legge 122/2010 (la legge Tremonti). Peraltro molti dei contenuti del decreto del 2001 sono riproposti nello stesso decreto 81 nel capo III (articoli 19-29) e si potrebbe affermare che in sostanza le disposizioni fondamentali non sono mutate.

Riguardo alla sanità – cosi come per le supplenze nella Scuola – sussiste però un problema perché l’articolo 29, comma 2, lettera e), esclude dal campo di applicazione del decreto 81 il «personale sanitario» che gode della deroga “Balduzzi”, cioè dell’articolo 4, comma 6, della legge 189/2012 che aveva posto una deroga alla durata massima triennale al fine di «garantire la costante erogazione dei servizi sanitari».

Ma la legge Balduzzi novellava l’articolo 10, comma 4-ter del decreto n. 368 che ora è abrogato completamente: dobbiamo dedurre che il «personale sanitario» non esiste più alcuna disciplina legislativa se non la stessa lettera e) citata sopra? Sarebbe davvero paradossale che non si ipotizzasse alcun limite massimo di durata del contratto a termine di un medico o di un infermiere. In qualche misura, pur rivolgendosi agli enti locali, è intervenuta la circolare n. 3 del 2 settembre 2015 della Funzione pubblica ricordando che l’esigenza di tutela del lavoratore «impone comunque di individuare nell’ordinamento i limiti ai suddetti rapporti di lavoro».

La volontà del legislatore nei riguardi del personale sanitario è, secondo me, chiara e indiscutibile: è stato però generato un groviglio di tecnica legislativa (il ministro Madia le definisce «alcune diversità nella formulazione della disposizione») perché la norma dice che alcuni contratti sono esclusi dal campo di applicazione «in quanto già disciplinati da specifiche normative» e la specifica normativa in questo caso è l’articolo 10, comma 4-ter, del 368 che. teoricamente, sarebbe abrogato. Lo stesso vale per i dirigenti di cui alla lettera a), anche se in questo caso la norma si potrebbe ritenere “nuova”, cioè riformulata da capo.

Ultima segnalazione sul decreto 81: sono soppresse le co.co.pro ma rimangono inalterate le Co.Co.Co. per il solo pubblico impiego (articolo 52). Rispetto ai quattro decreti delegati di recente promulgazione, i primi tre (nn. 148, 149 e 150) non evidenziano alcun interesse per il pubblico impiego in generale e per la sanità in particolare.

Il 151, invece, assume particolare importanza, pur con alcune precisazioni. Si parte da modifiche e integrazioni alla legge 68/1999 sui disabili (articoli 2-11), alle razionalizzazioni e semplificazioni in materia di costituzione del rapporto di lavoro (articoli 14-17) per passare alle disposizioni in tema di salute e sicurezza sul lavoro (articoli 20-22). La parte più rilevante e sostanziale del decreto riguarda il rapporto di lavoro in quattro particolari aspetti: i controlli a distanza dei lavoratori, la possibilità di cedere le ferie, le fasce di reperibilità per le visite fiscali e la modalità esclusivamente telematica di rassegnare le dimissioni. L’articolo 23 modifica l’articolo 4 dello Statuto dei lavoratori e, come è noto, ha scatenato polemiche a non finire. Il primo comma lascia in pratica inalterato il regime degli impianti audiovisivi mentre il comma 2 quello incriminato – esclude dall’obbligatorietà del previo accordo sindacale «gli strumenti utilizzati dal lavoratore per rendere la prestazione lavorativa e gli strumenti di registrazione degli accessi e delle presenze».

La disposizione è realmente innovativa perché i dati raccolti possono essere utilizzati «a tutti i fini connessi al rapporto di lavoro», quindi anche al fine di costituire prova in caso di licenziamento. In tal senso la condizione della «adeguata informazione» ha già preoccupato il Garante della Privacy che teme un contenzioso infinito.

L’articolo 24 introduce una novità assoluta, cioè la possibilità di cedere – in presenza di particolari condizioni soggettive – riposi o ferie . Apparentemente si potrebbero riscontrare profili di incostituzionalità nella norma (secondo l’articolo 36 «… non può rinunziarvi») ma, visto le finalità di alto profilo sociale, anche esse tutelate dalla Costituzione articoli 29 e 37), si ha ragione di credere che nessuno solleverà la questione. In virtù del richiamo al decreto 66/2003 è plausibile che le ferie cedibili siano quelle che eccedono le quattro settimane annue, considerate di giorni di calendario e non lavorativi.

L’articolo 25 non fa altro che parificare il regime delle visite fiscali nello specifico aspetto delle cause di esenzione dalla reperibilità a quello già da anni fissato per i dipendenti pubblici. Con l’articolo 26 il legislatore torna per la terza volta a normare la modalità di rilascio delle dimissioni volontarie dal rapporto di lavoro e appare incomprensibile come una norma di così alto valore abbia bisogno di continui interventi legislativi e non riesca mai ad entrare in vigore. Gli articoli 27-41 trattano il tema delle pari opportunità, consistenti sostanzialmente in modifiche e integrazioni al Dlgs 198/2006. In alcuni passaggi dei decreti si rileva un interesse per le aziende sanitarie locali ma non come destinatari passivi della normativa bensì come soggetti attivi nell’attuazione delle norme: nel testo sono richiamati protocolli con i servizi ispettivi delle Asl (anche se negli organigrammi aziendali tali servizi sono di “prevenzione” e non di “ispezione”) e la collaborazione delle Asl con l’Inail per fornire ai datori di lavoro strumenti per la riduzione dei livelli di rischio.

In conclusione, si può ragionevolmente ritenere che un ruolo importante sarà assunto dalla contrattazione collettiva,  naturalmente quando sarà riaperta la tornata contrattuale. A parte l’esempio della cessione di ferie, per la quale lo stesso decreto delegato rinvia espressamente alla contrattazione collettiva, nei decreti molti istituti giuridici sono disciplinati m modo generale e necessitano di una chiara regolamentazione riguardo alle modalità concrete di applicazione.

Stefano Simonetti – Il Sole 24 Ore sanità – 13 ottobre 2015 

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