Tra gli interventi che hanno coinvolto i congedi parentali, trovano posto anche le novità introdotte dalla riforma del mercato del lavoro, la legge 92/2012. In particolare i commi 24, 25 e 26 dell’articolo 4 prevedono due misure volte a sostenere la genitorialità, che avranno carattere sperimentale per gli anni 2013-2015.
La prima prevede l’obbligo per il padre lavoratore dipendente di astenersi dal lavoro per un giorno, entro i cinque mesi dalla nascita del figlio, con riconoscimento del 100% della retribuzione. La norma parla letteralmente di «obbligo di astenersi»: pare quindi che il permesso in questione non si possa configurare come una facoltà, che peraltro è già prevista da alcuni contratti collettivi di lavoro in occasione della nascita del figlio.
Sembra invece scontato che il permesso debba spettare anche in caso di adozione o affidamento, pena una disparità di trattamento.
A questa giornata di permesso, nello stesso arco temporale, lo stesso lavoratore potrà aggiungere un ulteriore periodo di due giorni, anche continuativi, previo accordo con la madre e in sua sostituzione, in relazione al periodo di astensione obbligatoria spettante a quest’ultima.
In questa ipotesi, la fruizione appare un po’ macchinosa: intanto, dal momento che la disposizione fa riferimento al periodo di astensione obbligatoria, le due giornate dovranno essere richieste dal padre lavoratore entro i tre mesi successivi alla nascita, ovvero nei quattro mesi successivi se la madre ha usufruito del «congedo flessibile». Inoltre, la parola «sostituzione» implica la rinuncia – da parte della madre – alle giornate di permesso (nel massimo di due) eventualmente richieste dal padre.
Per il periodo di due giorni goduto in sostituzione della madre, è riconosciuta un’indennità giornaliera a carico dell’Inps pari al 100 per cento della retribuzione.
Inoltre, il padre lavoratore è tenuto a fornire preventiva comunicazione in forma scritta al datore di lavoro dei giorni prescelti per astenersi dal lavoro, almeno quindici giorni prima dei medesimi.
Resta in ogni caso da chiarire come potrà essere gestita la riduzione del congedo obbligatorio della madre (che per legge non può essere inferiore a tre mesi successivi al parto) in luogo dei permessi goduti dal padre, poiché la formulazione legislativa non ha modificato le disposizioni previste dal Dlgs 151/2001 (il testo unico delle disposizioni sulla tutela della maternità e della paternità). Allo stesso modo, pare scontato che anche la lavoratrice debba avvisare il proprio datore di lavoro, comunicandogli la rinuncia a uno o a due giorni di congedo fruiti dal padre in sua vece. Per questa misura sono stati stanziati 78 milioni di euro per ciascuno degli anni interessati.
Voucher per la baby sitter
La riforma del mercato del lavoro (articolo 4, comma 24, lettera b) ha previsto la possibilità di concedere alla madre lavoratrice, al termine del periodo di congedo di maternità, per gli undici mesi successivi e in alternativa al congedo parentale, la corresponsione di voucher per l’acquisto di servizi di baby-sitting o per fare fronte ai costi della rete pubblica dei servizi per l’infanzia o dei servizi privati accreditati. Della corresponsione di questi voucher dovrà farsi carico il datore di lavoro, secondo le indicazioni operative che devono essere fornite.
Infatti, le due misure descritte sono tuttora “sulla carta” poiché, entro un mese dal l’entrata in vigore della legge 92, sarebbe dovuto intervenire un Dm attuativo Lavoro-Economia per stabilire la regolamentazione dei permessi in capo al padre lavoratore e l’utilizzo dei voucher di baby-sitting, tenendo conto dei parametri dell’Isee.
ilsole24ore.com – 2 gennaio 2012