
Lavoro e stop all’Iva, manovra da 15 miliardi. Numeri iniziali «leggeri» per la legge di bilancio. Pacchetto crescita al via da 3-4 miliardi
La manovra d’autunno viaggia oggi intorno ai 15 miliardi, divisi fra un pacchetto-crescita concentrato su giovani e lavoro e lo sforzo che rimane per azzerare le clausole Iva. Dal peso specifico di quest’ultimo aspetto, oggi valutato intorno ai 9 miliardi, e dalla possibilità di scovare nuove risorse fra spending review e lotta all’evasione, dipendono le dimensioni delle misure pro-Pil: la base di partenza, in base ai calcoli attuali, è intorno ai tre miliardi.
Suonano così, tradotte in cifre, le indicazioni offerte ieri nell’intervista a questo giornale dal ministro dell’Economia Pier Carlo Padoan, secondo il quale la legge di bilancio sarà caratterizzata da «risorse molto limitate», con margini stretti e da indirizzare alle misure da concentrare sulle misure pro-occupazione. «Ho sottolineato questo aspetto – ha rilanciato ieri lo stesso Padoan ai microfoni di SkyTg24 – perché il quadro e gli impegni presi con la Ue devono essere chiari a tutti i soggetti coinvolti nella costruzione della manovra». Manovra che, spiega lo stesso ministro, non conterrà tagli all’Irpef.
L’attenzione a fermare sul nascere un eccesso di desideri pre-elettorali tiene basse le cifre di riferimento che circolano al ministero. Il lavoro, ovviamente, è solo agli inizi. E oltre che dalle scelte politiche sugli interventi da finanziare, i numeri finali nasceranno anche dallo scenario di base sulla crescita, che sarà definito a settembre nella nota di aggiornamento al Def. Da qui potrebbe arrivare qualche aiuto aggiuntivo, perché praticamente tutte le stime sono concordi nel disegnare un ritmo del Pil 2018 superiore all’1% indicato dall’ultimo Def. E a quel punto i numeri potrebbero gonfiarsi un po’.
Il capitolo chiave, si diceva, sarà quello intitolato al lavoro, con la decontribuzione «permanente», come da definizione di Padoan, del carico fiscale e contributivo per i giovani neo-assunti. Proprio per il suo carattere strutturale, la misura oggi al centro di diverse ipotesi tecniche avrebbe costi importanti, e soprattutto crescenti negli anni con l’aumentare della platea interessata. Per questa ragione, la discussione si concentrerà soprattutto sui confini delle assunzioni “incentivabili”, che secondo i progetti di Via XX Settembre dovranno comprendere solo gli ingressi con contratti stabili.
Questa curva dei costi ha bisogno poi di una copertura altrettanto strutturale e dinamica. Due caratteristiche che spingono a puntare l’attenzione sul progetto, già in discussione con Bruxelles, di estendere l’obbligo di fatturazione elettronica, oggi in vigore per i fornitori della Pa, anche ai rapporti commerciali fra privati. La misura, che andrà fatta digerire a professionisti e piccole imprese, ha bisogno di una deroga da parte della commissione alle regole Iva, che oggi vietano l’obbligo generalizzato di e-fattura. Il percorso, però, è avviato, e segue lo stesso sentiero già tracciato con la doppia mossa sullo split payment.
Anche in questo caso in gioco c’è la lotta alle frodi Iva e la maggior efficacia dei controlli e, come accaduto a suo tempo per lo split, al ministero dell’Economia calcolano un effetto progressivo e crescente in termini di maggior gettito. Se si riuscirà a partire già dall’anno prossimo, come prudentemente Padoan si limita per ora a «non escludere», il risultato stimato dovrebbe aggirarsi intorno agli 1,5-2 miliardi, per poi salire negli anni successivi una volta oliata la macchina.
Per provare ad aggredire il grande malato italiano rappresentato dal gap di produttività, c’è poi in cantiere una nuova puntata di «Industria 4.0», a partire da una nuova proroga dell’iper-ammortamento al 250% che potrebbe estendere l’agevolazione anche ai software; oggi questo tipo di acquisti è aiutato dal super-ammortamento al 140%, che a fine anno dovrebbe concludere la sua corsa. Il tema del lavoro torna anche in questo caso: sui tavoli dei tecnici c’è un credito d’imposta per le spese di formazione collegate alla digitalizzazione dei processi produttivi. Anche in questo caso, platea e parametri definitivi dipenderanno dai fondi a disposizione.
La manovra d’autunno, poi, sarà l’occasione per l’ennesima battaglia contro le clausole di salvaguardia, che senza un nuovo intervento porterebbero all’11,5% l’aliquota agevolata oggi al 10% e al 25% quella ordinaria ora al 22 per cento. La montagna delle risorse necessarie, che a inizio anno viaggiava oltre i 19 miliardi, è stata limata dalla correzione strutturale portata con la manovrina di primavera, e si attesta oggi intorno ai 15,3 miliardi. Una mano aggiuntiva dovrebbe poi arrivare dal via libera europeo a una correzione dei conti più leggera rispetto agli otto decimali (13,5 miliardi) previsti dai documenti di finanza pubblica. L’Italia ha chiesto di ridurre il tutto a tre decimali (5 miliardi), un’apertura è già arrivata da Bruxelles ma il conto reale sarà fissato solo in autunno, con l’invio del progetto di bilancio.
A completare il quadro della manovra ci sono poi una serie di misure “obbligate” per chiudere una serie di partite sospese. La prima è quella relativa al rinnovo contrattuale dei dipendenti pubblici. Le trattative vere e proprie, dopo le riunioni preparatorie dei giorni scorsi, inizieranno il 31 agosto, ma per garantire gli 85 euro medi decisi con l’accordo del 30 novembre scorso servono almeno 1,2 miliardi per la Pa centrale, e ci deve pensare la manovra. Nelle tabelle, poi, non potranno non rientrare anche le classiche «spese indifferibili», dalle missioni all’estero ai finanziamenti per le ferrovie, che dovrebbero attestarsi intorno ai 2 miliardi.
Marco Mobili e Gianni Trovati – Il Sole 24 Ore – 4 agosto 2017