“Giù le mani dal diritto di sciopero”. E’ il messaggio del presidente dell’Autorità di garanzia Roberto Alesse. Mentre sono ancora calde le frasi del finanziere Davide Serra che alla Leopolda si espresso in favore della limitazioni degli scioperi nella pubblica amministrazione e a poche ore del corteo dei sindacati a Roma contro il Jobs act, il garante interviene in favore della legge che regola le manifestazioni. “E’ un dato ormai storico”, ha scritto Alesse nel suo blog sull’Huffington post, “nonché un fatto fisiologico, che, nel nostro Paese, gli ultimi mesi dell’anno si contraddistinguano, per un acceso confronto tra le forze sociali e le forze politiche (non a caso, da decenni, si parla di ‘autunno caldo’). Del resto, con la legge finanziaria, prima, e con la legge di stabilità, ora, i Governi determinano le principali scelte di politica economica e i futuri assetti del welfare per i cittadini e i lavoratori.
Ciò che, tuttavia, continua a preoccupare è la percezione diffusa che oggetto di costante polemica possano diventare tanto i diritti costituzionali quanto le istituzioni preposte alla loro tutela”.
“Lo ricordiamo”, ha continuato Alesse, “perché qualche settimana fa un sindacato importante ha annunciato di voler superare la cogenza delle regole sull’esercizio del diritto di sciopero nel pubblico impiego, mentre, da parte di qualche rappresentante del mondo della finanza, si è sostenuto che servirebbero più regole nel settore degli scioperi nei servizi pubblici essenziali”. Il garante ha difeso poi la necessità di una regolamentazione in materia: “La Grecia, la Spagna, la Francia hanno dimostrato, negli ultimi anni, che la carenza di una disciplina in materia di diritto di sciopero può bloccare, senza preavviso e durata, interi servizi pubblici essenziali e con essi i diritti dei cittadini utenti. Uno scenario che in Italia, diciamolo francamente, non si verifica ormai da 25 anni: la legge, infatti, ha funzionato e il conflitto collettivo, pur elevato, si mantiene nell’alveo della legalità. Si tratta, come evidente, di un complesso ‘gioco di frizione’ tra diritti costituzionali, che vanno manovrati con saggezza e rigore, fuori da ogni contingenza di ordine politico”.
Ecco l’intervento di Roberto Alesse, presidente dell’Autorità di garanzia per gli scioperi nei servizi pubblici essenziali.
È un dato ormai storico, nonché un fatto fisiologico, che, nel nostro Paese, gli ultimi mesi dell’anno si contraddistinguano per un acceso confronto tra le forze sociali e le forze politiche (non a caso, da decenni, si parla di “autunno caldo”). Del resto, con la legge finanziaria, prima, e con la legge di stabilità, ora, i Governi determinano le principali scelte di politica economica e i futuri assetti del welfare per i cittadini e i lavoratori.
Ciò che, tuttavia, continua a preoccupare è la percezione diffusa che oggetto di costante polemica possano diventare tanto i diritti costituzionali quanto le istituzioni preposte alla loro tutela. Non sarà, allora, inutile rileggere con attenzione gli articoli 39 e 40 della Costituzione, che sanciscono la libertà dell’organizzazione sindacale e il diritto di sciopero che “si esercita nell’ambito delle leggi che lo regolano”. Queste sono le disposizioni che fungono da baluardo contro qualsiasi tentativo di cambiare surrettiziamente, e non in modo esplicito, la nostra Carta costituzionale.
Lo ricordiamo perché qualche settimana fa un sindacato importante ha annunciato di voler superare la cogenza delle regole sull’esercizio del diritto di sciopero nel pubblico impiego, mentre, da parte di qualche rappresentante del mondo della finanza, si è sostenuto che servirebbero più regole nel settore degli scioperi nei servizi pubblici essenziali.
Dov’è, dunque, il punto di equilibrio rispetto ad affermazioni tanto divergenti? La risposta, paradossalmente, è semplice e l’hanno data i Costituenti nel 1948 e il Legislatore, grazie al contributo determinante di un uomo come Gino Giugni, nell’ormai lontano 1990. La legge 146/90, che disciplina l’esercizio del diritto di sciopero nei servizi pubblici, è l’unico esempio di regolazione del conflitto collettivo di lavoro nel panorama generale delle democrazie occidentali avanzate. Ignorarne l’esistenza equivale a disconoscere il valore di una legge così importante.
Ovviamente, il Governo ed il Parlamento sono liberi di rivisitarla, ma devono essere anche consapevoli che essa (la legge 146/90) rappresenta un punto di non ritorno per la salvaguardia di tutti gli interessi che sono in gioco.
Al riguardo, è cronaca recente lo sciopero del trasporto aereo in Germania che ha paralizzato per giorni, e senza regole, la mobilità dei cittadini nei cieli d’Europa. La Grecia, la Spagna, la Francia hanno dimostrato, negli ultimi anni, che la carenza di una disciplina in materia di diritto di sciopero può bloccare, senza preavviso e durata, interi servizi pubblici essenziali e con essi i diritti dei cittadini utenti.
Uno scenario che in Italia – diciamolo francamente – non si verifica ormai da 25 anni: la legge, infatti, ha funzionato e il conflitto collettivo, pur elevato, si mantiene nell’alveo della legalità. Si tratta, come è evidente, di un complesso “gioco di frizione” tra diritti costituzionali, che vanno manovrati con saggezza e rigore, fuori da ogni contingenza di ordine politico.
L’Huffington Post – 28 ottobre 2014