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    Home»Notizie ed Approfondimenti»Le Regioni protestano, ma lo Stato taglia di più. E i governatori delle Regioni del Nord chiedono siano almeno ripartiti in funzione dei costi standard
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    Le Regioni protestano, ma lo Stato taglia di più. E i governatori delle Regioni del Nord chiedono siano almeno ripartiti in funzione dei costi standard

    pecore-elettricheInserito da pecore-elettriche21 Ottobre 2014Nessun commento3 Minuti di lettura
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    di Mario Sensini. L’ultimo allarme l’ha lanciato il coordinatore degli assessori al Bilancio, Massimo Garavaglia, della Lombardia. Oltre ai 5,8 miliardi di tagli già previsti, da ultimo con la legge di Stabilità, che oggi sarà alla firma da parte del Presidente della Repubblica, Giorgio Napolitano, le Regioni potrebbero sopportare nel 2015 anche un minor gettito di quasi 500 milioni, come conseguenza del taglio dell’Irap deciso dal governo.

    Il peso della manovra sugli enti locali, che si apprestano alla trattativa con Palazzo Chigi, secondo sindaci e governatori è «insostenibile». Anche se, numeri alla mano, il peso maggiore del risanamento dei conti pubblici, dal 2008 al 2013, lo ha sostenuto lo Stato centrale. E, anzi, il contributo degli enti locali alle manovre di «lacrime e sangue» che si sono succedute dal 2008 a oggi, è pian piano diminuito.

    Secondo i dati elaborati dalla Commissione sul federalismo fiscale e dalla Ragioneria dello Stato, l’apporto di Regioni, Comuni e Province alle manovre di finanza pubblica ha raggiunto il picco massimo nel 2011, con il 37,5% del totale (17,2 miliardi tra minori spese e maggiori entrate su 45,8 totali), poi è sceso al 31% nel 2012 (32 miliardi su 105) e al 26,6% nel 2013 (ancora 32 miliardi ma su un volume di misure di correzione del deficit salito alla cifra record di 122,8 miliardi di euro).

    Secondo gli stessi dati Copaff, il volume della spesa primaria gestito dalle amministrazioni centrali dello Stato è sceso da 191,7 a 172,2 miliardi tra il 2009 ed il 2012, con una flessione del 10,1%. Mentre la spesa gestita dagli enti locali, compresa la sanità, è passata da 244,2 a 230,4 miliardi, con una flessione del 5,6%. E tra gli enti locali, quelli che hanno sopportato gli oneri maggiori in questi cinque anni di manovre restrittive sono state, e di gran lunga le Regioni.

    La loro spesa è scesa, in termini assoluti, da 38,2 miliardi a 32 alla fine del 2012, passando dal 5,3 al 4,5% della spesa complessiva, mentre quella dei Comuni si è ridotta, nello stesso periodo di tempo, dall’8,8 all’8,2% del totale, quella delle Province dall’1,6 all’1,4%, mentre quella degli enti del servizio sanitario è cresciuta, sul totale complessivo della spesa primaria dello Stato, dal 15,2 al 15,4%.

    Anche guardando il contributo degli enti locali alle ultime manovre correttive, il costo a carico delle Regioni è molto elevato, rispetto a Comuni e Province. A volte il doppio di quello dei Comuni, benché il volume di spesa gestito sia più basso di un terzo abbondante. Nel 2009 le Regioni hanno tagliato un miliardo e mezzo, e i Comuni hanno speso 500 milioni in più. Nel 2010 le Regioni hanno tagliato 2,3 miliardi, i Comuni hanno ottenuto 900 milioni in più, nel 2011 i governatori hanno tagliato 8,1 miliardi i sindaci 4,6, mentre nel 2012 e nel 2013 le Regioni hanno risparmiato più di 12 miliardi e i sindaci «solo» otto. Un incontro con il governo, pronto a lasciare mano libera agli amministratori purché siano garantiti i saldi previsti dalla legge di Stabilità, potrebbe esserci in settimana. I governatori delle Regioni del Nord chiedono che i tagli a carico del comparto siano almeno ripartiti in funzione dei costi standard. «Chiedo al Governo – dice Luca Zaia, governatore del Veneto – chi debba tagliare tra noi che abbiamo 0,6 dipendenti per mille cittadini, la Campania che ne ha 1,3, il Friuli 2,6 o Bolzano che ne ha nove. E chiedo se sia davvero equo escludere le Regioni Speciali dai tagli».

    Corriere della sera – 21 ottobre 2014 

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