di Roberto Napoletano, direttore del Sole 24 Ore. Questo Paese non ha bisogno di un uomo solo capitato da Marte, anzi da Campo di Marte, ma di un capo di governo consapevole del primato della politica che si renda conto che la sua squadra è lo Stato e che per fare cose serie deve avere intorno gente seria e motivata.
Matteo Renzi ha la credibilità, la determinazione, l’intuito e le energie per colmare il vuoto della (buona) politica che ha condannato l’Italia da troppo tempo al declino, ma non gli basterà essere il risultato del semi-fallimento dei tanti che lo hanno preceduto o l’alternativa alle molte demagogie (usciamo dall’euro, assegno universale per poveri e meno poveri) che rimbalzano di piazza in piazza e fanno presa sulle cicatrici di un Paese stremato da una crisi terribile che ha bruciato in pochi anni un quarto della produzione e nove punti di prodotto interno lordo.
Senza uomini del fare del calibro di Menichella, Saraceno, Pescatore, Bernabei e molti altri, De Gasperi e Fanfani non avrebbero risollevato l’Italia dalle macerie della guerra e trasformato un Paese agricolo di secondo livello prima in un’economia industrializzata e poi in una potenza economica mondiale.
Il coraggio di cui questo Paese ha (disperato) bisogno è quello della verità e anche Renzi non può non prendere atto che per tagliare dove si deve, sburocratizzare ovunque e bene, non aiutano improvvisazione e gusto della provocazione. Serve piuttosto un lavoro faticoso che riconosca lucidamente le priorità e ponga le condizioni per agire di conseguenza. Intervenga, come è giusto, per disboscare i privilegi di una casta di capi di gabinetto che cumulano mille incarichi e frenano la macchina pubblica, faccia altrettanto con i “mandarini-fotocopia” (a volte addirittura peggiori dell’originale) che hanno messo radici in tante, troppe Regioni e Comuni italiani, definisca criteri (davvero) meritocratici per selezionare i migliori tra quelli che ci sono e attrarne da fuori, eviti però la tentazione (demagogica) di assegnare una retribuzione pari alla metà di quella di un direttore generale di una banca di credito cooperativo a chi è investito di responsabilità amministrative e patrimoniali (individuali) pesanti e di pretendere da loro il meglio. Ma come può pensare, presidente Renzi, di fare in autunno 10 e passa miliardi di tagli di spesa pubblica (al momento si è fatto poco) senza un lavoro certosino di spending review che operi a livello micro, ufficio per ufficio, digitalizzazione dietro digitalizzazione, e, soprattutto, senza riuscire a ingaggiare al suo fianco una squadra di uomini di Stato (molto) capaci e (molto) motivati?
È paradossale che un giovane presidente del Consiglio, come è lei, indulga alla veduta corta, l’ansia di comunicare il risultato di oggi. Si imponga piuttosto una veduta lunga, si imponga di pensare al dopodomani e di spiegare perché si deve fare così e non come si è fatto fino ad oggi. Il problema non è abbattere le persone, ma smantellare i troppi uffici pubblici che continuano ad angustiare cittadini e imprenditori, per fare un ufficio unico che consenta di avviare in tempi ragionevoli un’attività di impresa o di avere un certificato. Questo è il cambiamento che l’Italia si aspetta da lei. Il Sole 24 Ore ha documentato, giorno dopo giorno, i punti di forza e di debolezza del suo decreto. Le coperture per quest’anno sono in parte strutturali ma restano prevalentemente legate a un approccio ancora lineare di tagli della spesa pubblica e a nuove entrate una tantum. Per questo gli 80 euro in più in busta paga per chi ha un reddito da 8 a 24/26mila euro rappresentano una promessa mantenuta, ma restano per ora un bonus e non una stabile riduzione del peso fiscale. Per stimolare la crescita ribadiamo che, a nostro avviso, sarebbe stato meglio dimezzare l’Irap (benvenuto comunque lo sconto del 10%) perché avrebbe aiutato a tutelare il lavoro a rischio e ad attrarre investimenti dall’estero che avrebbero colto in questa decisione il segnale (forte) che da troppo tempo attendono. Il coraggio immediatamente dimostrato con gli interventi sul mercato del lavoro (ed è giusto darne atto) dovrà indurre a scelte ancora più innovative adeguando al mondo più avanzato la flessibilità in uscita oltre che in entrata. Bisogna porsi seriamente il problema di garantire alle imprese nuovi strumenti finanziari che consentano l’approvvigionamento di risorse (vitali) visto che persiste una situazione di credito scarso.
Non abbiamo ancora coperto strutturalmente il bonus da 80 euro per gli anni a venire e ci precipitiamo ad annunciare che faremo altrettanto per pensionati, incapienti, partite Iva e così via. Calma, presidente Renzi, la speranza che è riposta in lei in Italia e in Europa, è troppo grande per potere essere sprecata, di shock in shock, perché alla fine si rischia il cortocircuito. Spenda bene quel primato della politica che ha così intelligentemente ricostituito, patrimonializzi quel clima di fiducia e di uscita dalla rassegnazione/rabbia che il suo nuovo governo ha prontamente catalizzato e lo faccia sul terreno delle riforme istituzionali traghettandoci fuori da un bicameralismo perfetto anti-storico e anti-economico, ma avendo l’accortezza, anche qui, di ascoltare e di evitare squilibri di rappresentatività, forzature e anacronismi (penso al Senato) che rischiano di complicare ciò che si vuole semplificare. L’Italia è un Paese complesso, ci sono le mafie, la corruzione, la crisi strutturale del Sud e una crescente “meridionalizzazione” della sua società, della sua politica e della sua economia, un’imprenditoria (eroica) che vive di mercato e merita di essere alleggerita dal peso dei (nostri) fardelli e un’imprenditoria-assistita che ha saccheggiato tutto il possibile nelle pieghe del bilancio pubblico e continua a sfuggire alle sue (gravi) responsabilità. Oggi più che mai l’Italia chiede di credere in un sogno, ma non merita di ripercorrere sentieri “illusionistici” che hanno segnato (amaramente) la seconda Repubblica. Questo Paese ha bisogno di un sogno (vero) che non si nutre di slogan, ma di credibilità, un misto di ambizione e nobiltà, che sappia toccare le coscienze e risvegliare l’orgoglio. Comprendiamo che la sua esigenza congiunturale è quella di massimizzare nell’urna, alle elezioni europee, un risultato che legittimi l’azione di governo. Sappia, però, che il giorno dopo la priorità è fare, non polemizzare, ridurre le incertezze degli investitori, mettere al centro della politica economica la scuola, l’impresa, il capitale unico della manifattura e dei servizi ad essa collegati, modificare gli assetti istituzionali, proseguire sulla strada delle riduzioni fiscali (tagliando gli sprechi) e ridare slancio alla macchina burocratica nazionale e territoriale. Per fare tutto ciò serve gente seria, tanta (tanta) capacità di ascolto. Serve una squadra, quella dello Stato della Repubblica italiana, giovani e meno giovani all’altezza del compito, e una cultura (adulta) di mercato che sappia assecondare in un quadro di regole snelle e efficaci la promozione e la mobilità delle energie migliori. Il collettivismo ha perso, il mercato (se ci si crede) va lasciato operare. Noi ci crediamo e non vogliamo che la speranza italiana possa cadere per un eccesso di competizione con i populismi che segnano questo tempo. Non vogliamo nemmeno pensare che ciò possa accadere.
Il Sole 24 Ore – 27 aprile 2014