L’editoriale. La vittoria «sicura» dell’outsider. Ma Padova è una città complessa. Ora la sfida di governare
di Alessandro Russello dal Corriere Veneto. Se lo sentiva. Lo diceva. Aveva annusato l’aria. E perfino la «paura» dell’avversario. Sulla quale ha giocato come un cacciatore che insegue la preda senza darle tregua. Con l’energia e la spregiudicatezza dell’outsider. Un leghista, per giunta di Cittadella, ha conquistato Padova. Lo «straniero» bollato da molti (o pochi?) padovani come «foresto » che ha ribaltato la narrazione leghista sui «foresti» ma evidentemente ha saputo far accogliere e premiare le proprie idee e i propri progetti.
Massimo Bitonci ha vinto dopo anni di astinenza del centrodestra. Ha vinto dove non erano riusciti i candidati della «borghesia» che guardava a Forza Italia e An (parentesi di Giustina Destro a parte, che diventò sindaco col vento di Berlusconi in poppa). Ha vinto per merito suo ma anche per demerito degli avversari.
Sì, al plurale. Se Ivo Rossi non ha sfruttato l’altro vento, quello di Renzi, la sua sconfitta è figlia di una serie di motivi ed errori messi in fila con chirurgico masochismo un po’ da tutti. Dato vincente e senza avversari mesi fa – tanto che nessun candidato di area Pdl aveva voluto mettere nome e faccia «su una sconfitta sicura» – l’ormai ex sindaco reggente paga ad esempio le primarie. Alle quali è stato costretto dal Pd con l’emergere del caso Fiore, movimento antagonista e «traditore» (a detta dei Democrats) mai integratosi con il centrosinistra ortodosso e più moderato. Un’alleanza poi difficilmente trovata al ballottaggio con un apparentamento da parenti serpenti più che da coalizione coesa e allineata sui programmi. A differenza del patto Bitonci-Saia, ideologicamente più «naturale» e facile da armonizzare. Paga, Ivo Rossi, la «timidezza » dello stesso Pd, che lo ha vissuto come una sorta di corpo estraneo (lui, renziano nella Padova bersaniana): estraneo al punto che lo sconfitto è arrivato a parlare di «tradimento» da parte del suo stesso partito. In questo sconta evidentemente, Ivo Rossi, la sua debolezza politica. E paga anche il riverbero dei quasi cinque anni di amministrazione Zanonato. Il voto dei padovani, infatti, è anche un post-verdetto sul «vero» sindaco uscente. Anche se Zanonato non era «il» candidato e alle Europee ha avuto un buon successo.
Probabilmente il «leghista di Cittadella», che ora lascerà il Senato per entrare a Palazzo Moroni, ha vinto in un luogo «fisico» e molto «politico» sul quale aveva scommesso quasi tutto: la sicurezza. La narrazione della Padova delle «spaccate» e del «degrado» non ci pare una forma di spettacolarizzazione da imputare ai «soliti giornali», che i fatti devono raccontarli e spesso riescono anche ad approfondirli. L’informazione può avere molte colpe ma non questa: i lettori e gli elettori non sono né stupidi né marziani. E sul senso di insicurezza – oltre che sulla «voglia di cambiare» – è indubbio che si è giocata una parte significativa della campagna elettorale. Non solo in centro storico, area nevralgica di una «micro-criminalità» assidua e pesante come una goccia che spacca la roccia, ma anche in periferia. Bitonci ha vinto largamente pure in aree tradizionalmente di centrosinistra. E l’aumento dell’astensione non sembra deporre a favore dello sconfitto: di solito il «non voto» penalizza il centrodestra. Il fatto è che sul tema della sicurezza il candidato Pd è stato forse un po’ «timido». O troppo «politicamente corretto». Vero è che con la demagogia e la promessa di un soldato ad ogni porta di casa o negozio non si fa buona politica, ma forse il tentativo di parlare a quella parte di città «insofferente» avrebbe potuto aprire almeno il fronte di un dialogo. Detto questo, una città complessa come Padova non si governa solo pensando alla sicurezza, anche se farlo è già un buon inizio (ora toccherà al ticket Bitonci-Saia dimostrare se e come si può tranquillizzare una città «spaventata»). Padova, come ha suggerito più di qualcuno in campagna elettorale, non è Cittadella. E su questo non ci piove. Bitonci, che ha promesso di essere «il sindaco di tutti», dovrà elevare la sua visione dal cittadino alla città. E governare, per davvero, la complessità del futuro. Del «tutto». Dal tema dell’ospedale, a quello della città metropolitana, a quello dello sviluppo. Questi sì sono fronti sui quali più di qualcuno lo vede poco «sicuro». A lui smentire, dopo la notte della vittoria, quella metà di Padova che non lo ha votato e che lo ha dipinto come un «barbaro». Un «barbaro», però, che da oggi, a Padova, è a casa sua.
Alessandro Russello – Il Corriere del Veneto – 10 giugno 2014