Fino a quel momento Enrico Letta aveva fatto il Letta. Lessico algido, niente effetti speciali, discorso scritto e letto. Eppure, nell’aula di Montecitorio c’era qualcosa di diverso nell’atteggiamento dei deputati del Pd. Pronti a far scattare l’applauso anche su passaggi soft. Ben 24 interruzioni, un record per Letta. Il presidente del Consiglio intuisce che nell’aria c’è uno «spirito» diverso.
E nella replica si rivolge con piglio inusuale verso il deputato grillino Riccardo Nuti: «Dopo la gaffe di Grillo sui giornalisti pensavo che il discorso si chiudesse e invece il collega Nuti ha rilanciato, spiegando che i giornalisti o scrivono le cose che piacciono a voi, oppure vengono messi alla gogna!». Scatta l’applauso, forte, dei deputati Pd e Letta rincara la dose, urlando: «È inaccettabile, questa cosa è inaccettabile». Nuti: «Sei un bugiardo!». Dai banchi del Pd qualcuno urla: «Fascisti» e Letta riprende la parola: «Cosa dovrei fare io, ogni mattina, nella lettura dei giornali, quando leggo le cose più strampalate, incredibili, scorrette, ingiuste? Ma collega Nuti, quello è il mio punto di vista!». A quel punto dagli scranni di centrosinistra si alza un battimani tosto, rumoroso, prolungato, un «abbraccio» simbolico verso il presidente del Consiglio, ribadito al termine della replica.
A fine seduta Roberta Pinotti, sottosegretario Pd alla Difesa, dice: «In aula c’era un clima diverso dal solito». E a fine giornata – dopo il passaggio di Letta a palazzo Madama – Giorgio Tonini, vicepresidente dei senatori del Pd, chiosa così: «Con l’arrivo di Renzi e le sue prime uscite, il morale della “truppa” parlamentare è cambiato, il Pd è di nuovo in assetto di battaglia, sente di avere una missione. Letta ha recepito l’essenza della agenda Renzi e ha tracciato una linea chiara di politica economica. Se l’intesa va avanti, un Pd a guida “bianca” ha davanti a sé un campo sterminato: i due vogliono parlare entrambi a tutti gli italiani, lo fanno con linguaggi e cromosomi diversi ma complementari».
Alla prima «uscita» la nuova coppia di fatto della politica italiana, Letta-Renzi, ha tenuto bene il campo. Certo, il presidente del Consiglio ci ha tenuto a sottolineare che «il nuovo inizio è oggi», «i punti cardinali» del «contratto di governo» che sarà stipulato a gennaio «sono nel discorso sul quale sto chiedendo la fiducia». Come dire: il principale artefice di tutto ciò che si farà da ora in poi, resto io. Sembrano sottigliezze e invece in quella sfumatura c’è gran parte della sfida dei prossimi mesi: tra Matteo ed Enrico chi riuscirà a prendersi i meriti (eventuali) di tutto ciò che farà il governo? Il renziano Stefano Lepri, vicepresidente dei senatori, attribuisce il cambio di marcia al «turbo» apportato sindaco di Firenze, ma se il governo si metterà a correre anche grazie a Renzi, lui riuscirà a far buon viso? Per il momento Letta, con la consueta capacità di «adattamento», ha fatto propria l’agenda Renzi in campo di riforme istituzionali. Ha auspicato una legge elettorale «con meccanismi maggioritari», ma senza dettagliare, lasciando la materia al Parlamento, come chiesto dal sindaco. Ha rilanciato la proposta di togliere dalla Costituzione le Province, una delle «fisse» di Renzi. Ha annunciato che «rapidamente» sarà definita dal governo la proposta di superamento del bicameralismo. Da Firenze fanno notare che per il momento va bene così, purché il tempo delle parole e delle promesse vada rapidamente a chiudersi. Insomma, la concorrenza tra i due per il momento è soffocata, in attesa delle trattative di gennaio sul «Contratto». Ma la rivalità serpeggia dietro le parole. Ad un certo punto Letta ha parlato della «necessità di archiviare un ventennio sprecato». Affermazione tipica della «narrazione renziana» ed insolita per un personaggio che il ventennio non l’ha vissuto alla finestra, ma che fa capire quanto imprevedibili saranno i percorsi attraverso i quali si dipanerà l’alleanza-rivalità tra Letta e Renzi.
La Stampa – 12 dicembre 2013