di Filippo Tosatto. Proprio vero, il diavolo si nasconde nei dettagli. «Accetterò la candidatura nel 2015 solo se saranno garantiti cinque anni di buon governo da una squadra valida», ha avvertito giorni fa Luca Zaia, malcelando la soddisfazione per i sondaggi che lo accreditano in vantaggio rispetto alla sfidante del Pd Alessandra Moretti. Parole in apparenza banali, che viceversa mirano al cuore del problema.
Perché ad agitare i sonni elettorali del governatore leghista non è la cattura del consenso (che gli indicatori segnalano stabile su percentuali favorevoli) né la ricomposizione della coalizione di centrodestra – in crisi identitaria e costretta quasi ad aggrapparsi alla sua leadership – quanto l’incognita legata alla fisionomia dei consiglieri di maggioranza catapultati a Venezia da un eventuale successo elettorale.
Di che parliamo? Dei disegni di Flavio Tosi, che assicura sostegno al rivale di partito – «Ribadisco, spero per l’ultima volta, il convinto appoggio a Zaia che ha bene amministrato e merita la conferma» – ma altrettanto esplicitamente lascia intendere che nella campagna di primavera non farà da spettatore. La sua Fondazione «Ricostruiamo il Paese» sta mettendo radici un po’ in tutta Italia – ieri il sindaco-segretario era di scena a Napoli, mercoledì sarà protagonista di un faccia a faccia con Corrado Passera a Verona – e l’ambizione tosiana di concorrere al timone del centrodestra nazionale impone una presenza alla sfida delle regionali: «Ci stiamo pensando, sì, perché il nostro progetto sta intercettando consensi ed energie che vanno oltre l’appartenenza alla Lega e favorisce una riaggregazione dell’alleanza fondata su solide basi programmatiche», è il suo commento. In altre parole, nella corsa a Palazzo Balbi la lista Tosi ci sarà. Analogamente a quella di Zaia, certamente, ma nel proliferare dei nominalismi a pesare sarà anche il simbolo del Carroccio. E chi, se non il segretario, avrà l’ultima parola sulle candidature ufficiali leghiste?
Tanto più che la recente tornata congressuale ha complessivamente rafforzato la sua maggioranza interna grazie alla vittoria dei tosiani Gerry Boratto (Padova) e Antonio Mondardo (Vicenza) ed al ritorno all’ovile dei ribelli di Rovigo a fronte del significativo ma isolato successo colto da Dimitri Coin, lealista zaiano, nell’ex roccaforte di Treviso. Ricapitolando: senza concedere troppo alla fantapolitica, in caso di mandato bis Luca Zaia corre seriamente il rischio di ritrovarsi ostaggio di una maggioranza – inclusi gli eletti di FI, Ncd e Fratelli d’Italia – il cui tasso di fedeltà non è affatto scontato e anzi minaccia di inaugurare una stagione irta di trabocchetti. Anticipata, in qualche modo, dalla levata di scudi di molti tra i «suoi» assessori contro il progetto di legge Padrin che intende limitare a due i mandati al Ferro-Fini, così da costringere oltre la metà dell’assemblea uscente a sgombrare l’amata poltrona. Lui, il governatore in carica, ostenta calma olimpica, raccoglie consensi e disponibilità, fa sapere agli amici che non correrà ad ogni costo ma solo in presenza di garanzie concrete che gli consentano di operare in autonomia. L’impressione è che scommetta sul rapporto diretto e personale con la “piccola patria” veneta, il suo autentico – e collaudato – punto di riferimento.
25 ottobre 2014 – Il Mattino di Padova