Pioggia di emendamenti sul decreto sanità. L’Aula di Montecitorio – dove è cominciata la discussione generale sul testo – ha presentato circa 350 proposte di modifica, circa 60 delle quali sono a firma Lega Nord. Sempre più probabile un maxi-emendamento del Governo
Resta dunque apertissima l’ipotesi di un voto di fiducia, magari su un maxiemendamento riscritto dal Governo.
Il testo all’esame dei parlamentari è quello varato dalla commissione Affari sociali. Comprensivo del blitz finale introdotto all’ultimo momento dai deputati: una norma che consente a tutti i dipendenti della Sanità pubblica di andare in pensione di anzianità fino al 31 dicembre 2014 (col surplus di 30 mesi di contributi figurativi) senza le nuove regole introdotte dalla riforma Fornero.
L’emendamento non è piaciuto all’Esecutivo (si veda l’articolo del Sole-24 Ore di sabato scorso), con il ministro Elsa Fornero che ha subito dato lo stop: «Non ci sono fratelli maggiori e fratelli minori. La riforma vale per tutti, non si può pensare all’esenzione di intere categorie».
Ma oggi è arrivata la replica dell’Anaao, il maggior sindacato dei medici ospedalieri. «Apprendiamo con stupore – commenta il segretario nazionale, Costantino Troise – che l’emendamento approvato nel decreto sanità che consente ai dipendenti del Ssn il pensionamento con le regole precedenti alla riforma “Fornero”, ha creato “turbamenti” e “ripensamenti” in alcune forze politiche ed esponenti del Governo. In realtà, la norma applica semplicemente al Ssn quanto già previsto e approvato, dal medesimo Governo e Parlamento, lo scorso 7 agosto con l’articolo 2 della “spending review” per i dipendenti dello Stato (ministeri, enti pubblici non economici). Escludere il Ssn vuol dire perpetuare l’ennesima discriminazione nei confronti dei suoi dipendenti».
Troise ironizza sulle «lezioni di equità», ricordando che «i dipendenti pubblici accedono alla pensione, in molti casi, in età successiva ai dipendenti privati (per effetti dell’articolo 15 bis della riforma) e, in particolare, le donne del settore pubblico accedono al pensionamento successivamente alle corrispondenti lavoratrici del settore privato. Dopo aver assistito a leggi che, indifferenti alla diversa fatica richiesta da differenti lavori, hanno sancito che una impiegata di una banca o di una assicurazione possa andare in pensione prima di una donna medico o di un’infermiera, sottoposte a duri turni di lavoro anche notturni e festivi, non vorremo assistere ad analoga discriminazione all’interno del pubblico impiego».
Per concludere: «Non si può penalizzare un ambito lavorativo che richiede un turnover perlomeno non inferiore a settori impiegatizi ed amministrativi, anche per garantire la sicurezza delle cure cui cittadini e magistrati sono sempre più attenti. La norma in discussione va confermata proprio per una questione di equità, se non si vuole certificare che Governo e Parlamento non hanno recepito, tra l’altro, le recenti sentenze della Corte Costituzionale a proposito del divieto di irragionevoli discriminazioni tra i cittadini».
Sulla stessa lunghezza d’onda dei medici il relatore del provvedimento, Lucio Barani (Pdl) – l’altra relatrice è Livia Turco (Pd) – che nel corso del suo intervento nell’Aula di Montecitorio ha spiegato che il decreto, come modificato in commissione, «mira a innalzare gli standard qualitativi in campo sanitario per raggiungere un più alto livello di tutela della salute. In quest’ottica è stato previsto un innalzamento dell’età pensionabile per il personale medico a 67-70 anni».
«Al contempo – ha aggiunto Barani – si è voluta favorire l’applicazione della legge sulla spending review favorendo il pensionamento del personale amministrativo e degli addetti a funzioni non sanitarie, in carico alle aziende sanitarie, le cui mansioni sono state esternalizzate». Questo consente, per il deputato, «da un lato, di avere meno oneri per il Ssn e, dall’altro, di assumere personale medico e infermieristico, in un rapporto di una unità ogni cinque addetti pensionati. Tale previsione – ha concluso Barani – è importantissima dal momento che le aziende sanitarie, non avendo le valutazioni attuariali dei carichi di lavoro, non possono calcolare gli esuberi, previsti sempre dalla spending review. L’obiettivo della norma è proprio questo: fare emergere gli esuberi favorendo il pensionamento secondo le previsioni di legge, risparmiando al contempo sui costi che imporrebbe un’eventuale mobilità».
Il sole 24 Ore sanità – 15 ottobre 2012