Antonio Pitoni. Otto emendamenti che scatenano il putiferio nel Pd. Firmati, neanche a dirlo, dalla minoranza dem: da Stefano Fassina a Pippo Civati, passando per Gianni Cuperlo, con la sottoscrizione dei bersaniani (Alfredo D’Attorre) e dei bindiani (Margherita Miotto). «Non per boicottare», assicurano loro, ma per «correggere l’impianto» della Legge di stabilità. Precisazione che non basta, però, a frenare l’ira dei renziani contro l’iniziativa dei colleghi di partito.
Anche perché le modifiche proposte non sono certo secondarie. Dalla ridefinizione dei criteri per l’attribuzione tanto del bonus Irpef di 80 euro quanto del bonus bebè (da destinare in base all’Isee alle fasce di reddito più basse) all’«istituzione del fondo per la messa in sicurezza del territorio», sfruttando i proventi delle privatizzazioni per il risanamento del dissesto idrogeologico. Dalle misure a garanzia degli «investimenti nel Mezzogiorno» a quelle per il contrasto alla precarietà. «Per quanto mi riguarda questo è il modo di far vivere un coordinamento, a partire da posizioni di merito, non anti qualcuno, non è per boicottare», assicura Fassina. Concetto ribadito anche da Cuperlo: «Non sono emendamenti contrari all’indirizzo del governo, sono emendamenti fatti con lo spirito di chi vuole migliorare la manovra». Insomma, sulla legge di stabilità «non è questione di sfiduciare» l’esecutivo «perché sennò va a casa», aggiunge Civati. «È questione di chiedere rispetto per le nostre proposte – spiega –. Per ora abbiamo fatto la domanda, risposte non ne sono venute, che fosse un indizio…». Una doccia gelata per i renziani. «È davvero incredibile – tuona il responsabile Innovazione della segreteria Pd, Ernesto Carbone – che parlamentari, che fino a prova contraria fanno parte di un gruppo politico, convochino una conferenza stampa per illustrare emendamenti alla legge di stabilità pensati e redatti senza tener conto di una discussione nel gruppo e nella commissione competente».
Più attento allo sguardo dell’Europa che alle tensioni interne, il ministro dell’Economia, Pier Carlo Padoan, resta ottimista: «Mi aspetto che sarà riconosciuto lo sforzo anche qualitativo» sul bilancio e «sulle riforme strutturali». E avverte: «Sono abbastanza stufo di sentirmi dire da eminenti colleghi ministri che si rivolgono all’Italia dicendoci che dobbiamo dimostrare che i soldi li sappiamo spendere e non chiedere soldi alla Ue». Una manovra che, come se non bastasse, anche Forza Italia non si fa scrupoli ad impallinare. Con il capogruppo alla Camera, Renato Brunetta, che si presenta in sala stampa per presentare la «contro legge di stabilità» azzurra. Costruita su 569 emendamenti divisi in sette sezioni: dal Mezzogiorno al comparto sicurezza, passando per scuola, ambiente, cultura, imprese e lavoro. «Quello su cui puntiamo – spiega ancora Brunetta – è l’abbassamento della pressione fiscale a partire dalla casa, chiedendo che si torni al modello Berlusconi».
La Stampa – 19 novembre 2014