Anna Zafesova. Bruxelles e Washington introducono nuove sanzioni, ma Vladimir Putin reagisce inaspettatamente pacato e promette che le contro-misure ci saranno «solo se possono difendere gli interessi della nostra economia», ma non allo scopo di «dimostrare di essere dei duri e restarne danneggiati».
Una prudenza dettata dalle conseguenze del primo giro di contro-sanzioni: il divieto di importare alimentari occidentali non solo ha fatto schizzare i prezzi e svuotato alcuni scaffali dei supermercati, ma messo in crisi interi settori. In 24 ore a Mosca sono stati uccisi due imprenditori ortofrutticoli. Il proprietario del mercato «Paradiso della frutta», è stato freddato con uno sparo alla nuca, e il direttore di una azienda agricola è stato trovato morto con quattro pallottole in testa. Scene da film di Tarantino che Mosca non vedeva spesso dopo gli anni 90. E secondo alcuni esperti, la colpa è delle sanzioni.
L’embargo ha bloccato anche forniture già pagate e in viaggio verso la Russia, lasciando sul lastrico centinaia di imprenditori. «Siamo tutti seduti su una polveriera», commenta a Gazeta.ru Ilya Khandrikov, leader del movimento«Per un mercato onesto», che non esclude una nuova epidemia di regolamenti di conti: «Per lo Stato le sanzioni sono una clausola di forza maggiore, ma il business ha debiti non pagati e impegni non rispettati». E invece di rivolgersi a un giudice molti operatori di un settore ancora ombroso assoldano un killer. Anche perché è in corso una gigantesca ripartizione del mercato: recuperare con nuovi fornitori richiede tempo e soldi, e intanto gli importatori dagli Usa e dall’Europa vengono scansati da quelli dall’Asia e dal Sud America.
I produttori nazionali che applaudono le sanzioni nelle riunioni con i ministri, non sono però in grado di risolvere la situazione. Nonostante il premier Medvedev ispezioni i supermercati a caccia del «frutto proibito» e prometta che i russi avranno cibo buono a prezzi contenuti, i grossisti sanno che il made in Russia non solo scarseggia, ma in media costa di più, qualche volta molto di più, come il salmone che i russi pescano nello stesso mare dei norvegesi ma lo vendono al doppio. La differenza è fatta da tecnologie più obsolete, logistica scarsa, produttività più bassa, tangenti e balzelli più alti, assenza di crediti e sovvenzioni, e ora anche da una condizione di monopolio: alcuni produttori russi hanno alzato i prezzi del 50% in due settimane.
C’è chi di sanzioni muore e c’è chi riceve opportunità insperate. Anche perché Mosca ha fatto della difesa delle inefficienze della sua economia una crociata: la lista dei prodotti che il Cremlino chiede di escludere dal libero scambio tra Ucraina e Ue contiene 2300 posizioni che vanno dalle macchine utensili ai detersivi, circa il 20% dell’interscambio. Putin ha valutato il danno dall’arrivo di prodotti europei di migliore qualità e minor prezzo di quelli russi in 3 miliardi di dollari. E se c’è un motivo economico dietro alla guerra lanciata dalla Russia contro il sogno europeo ucraino, più che il gas è il tentativo di proteggere – a spese del consumatore – un sistema produttivo da rottamare.
La Stampa – 13 settembre 2014