Mentre a Verona in Prefettura si parlava di tavolo tecnico per affrontare il problema dei lupi, loro in Lessinia stavano imbandendo la tavola e l’ora del banchetto è scoccata poco dopo la mezzanotte in contrada Valbusa, a un paio di chilometri da Bosco Chiesanuova, lungo la vecchia strada che sale da Lughezzano.
Il posto è bellissimo e selvaggio, a strapiombo sul Vajo dell’Anguilla, mai una predazione in precedenza nell’azienda agricola dei fratelli Federico e Silvano Sponda. «Siamo stati svegliati dalle vitelle che urlavano», racconta Maria, moglie di Federico, «abbiamo acceso le luci e siamo usciti in cortile». La stalla è a due passi e il recinto dove stanno passando questo tiepido autunno ancora con abbondanza di erba fresca e verde è a una trentina di metri dalle abitazioni. «Appena hanno visto le luci le vitelle ci sono venute incontro, tutte otto, meno un paio», aggiunge Maria. Lei, suo marito, il cognato e il suocero erano tutti in piedi e con grida hanno cominciato a fare frastuono e a lanciare sassate nella direzione del bosco da dove avevano sentito provenire le urla strazianti di una vitella. Nel frattempo si era svegliati anche i bambini e i ragazzi della famiglia, tutti alle finestre a vedere cosa stesse succedendo.
Due vitelle di 7-8 mesi erano state morsicate, una alla coda e alla zampa destra davanti, l’altra con lacerazioni profonde alla parte posteriore. I lupi non avevano potuto finire il loro pasto perché disturbati dalle urla e dalle sassate dei proprietari ma per una vitella del peso di quasi due quintali purtroppo non c’è stata più nulla da fare. Il veterinario arrivato in mattinata ha dovuto sopprimerla perché c’era già febbre alta, infezione in corso e lo stato complessivo dell’animale era tale che non avrebbe sopportato suture e cure antibiotiche.
«È la prima volta che ci capita. Portiamo le vacche in malga, ma sono bestie grosse e a quelle non è mai successo nulla fortunatamente. Le vitelle e le manze le abbiamo sempre tenute vicino a casa ma adesso non siamo più sicuri neanche qui», commenta la signora. Spaventata da questa notte da lupi? «Adesso siamo spaventati anche di giorno, perché se arrivano così bassi fin sulle porte della contrada c’è da aspettarsi di tutto», ammette.
Cacciati da contrada Valbusa i predatori non si sono dati per vinti e, spinti dalla fame, hanno ridisceso e risalito il vajo, attaccando tre asini in un recinto sul versante opposto, nei pressi di contrada Costamora, nel Comune di Erbezzo, a un tiro di schioppo in linea d’aria e raggiungibile in una mezz’ora sulle quattro zampe di un lupo.
Ne sono andati di mezzo un’asinella di 6 mesi, morta subita, la madre di cinque anni, soppressa dal veterinario e un’altra asina di sette anni che era data per dispersa ma che i proprietari, Bruno Campedelli e Ornella Massella, hanno ritrovato nel tardo pomeriggio sbranata dai lupi. Un anno fa gli stessi proprietari furono vittime di un altro attacco di lupi, che causò la morte di altri due asini.
In questo caso gli animali erano custoditi in un recinto lontano dalle abitazioni, in località Vèderle e i lupi hanno potuto agire indisturbati.
Dopo un periodo di calma durato una ventina di giorni dalle ultime predazioni in malga, si sono intensificati i casi a quote decisamente più basse, perché in altura non ci sono più capi in alpeggio. Si fa l’ipotesi che si tratti dei due giovani nati lo scorso anno in fase di dispersione, ma a quanto pare tanto dispersi non sono, perché le predazioni sono tutte nel raggio di pochi chilometri, da quella di Dosso di Ronconi della settima scorsa a queste due ultime.
Secondo gli uomini del Comando stazione di Bosco Chiesanuova del Corpo forestale dello Stato e il guardiaparco, che intervengono per verbalizzare le predazioni, il bilancio, su conteggi dei capi denunciati, parla di 48 attacchi mortali nel corso del 2014, solo nella Lessinia veronese, che diventano 60 con i 12 della Lessinia trentina che sono fortunatamente stabili dallo scorso settembre perché riguardano unicamente gli alpeggi, non essendoci contrade o stalle oltre il confine.
«Siamo solo a novembre e c’è tutto l’inverno davanti, ma la misura è già colma», attacca Lucio Campedelli, sindaco di Erbezzo, «se la gente deve cacciare i predatori a sassate dalle contrade. Adesso ci manca solo che entrino in casa: siamo in emergenza e come tale va affrontata».
«La gente ha paura e io con loro», aggiunge Claudio Melotti, sindaco di Bosco Chiesanuova, «perché il supermercato della carne si sposta sempre più in basso. Misure preventive vanno adottate subito e su tutto il territorio senza pretendere di sperimentare qui o là perché il pericolo è ovunque. Resto dell’idea che lo spostamento almeno di una parte del branco sia una necessità impellente da chiedere ancora con più forza. Ho la convinzione che la situazione sia sfuggita di mano a chi doveva controllare e adesso non ci resta che lo spostamento o l’apertura della caccia», conclude.
Anche Erbezzo si è schierato con chi chiede di trasferirli. Campedelli: «Sono più a rischio di estinzione malgari e allevatori»
Anche il Consiglio comunale di Erbezzo ha approvato all’unanimità un ordine del giorno per il trasferimento dei lupi dalla Lessinia e l’uscita dal progetto Life WolfAlps, «perché la situazione è grave ed è necessaria una presa di coscienza degli organi superiori per una soluzione che escludiamo in partenza possa essere una convivenza pacifica fra animali predatori e attività umane di allevamento», ha esordito il sindaco Lucio Campedelli, «anche se non tutti pensano così ed è scontato che nei salotti di città si abbia un’altra idea rispetto a chi rischia in prima persona il proprio lavoro e il proprio patrimonio».
Il fatto che ci siano delle leggi nazionali ed europee a tutela dei grandi predatori è un ostacolo ma non rende impossibile una soluzione: «Ci vorrà del tempo ma le leggi sbagliate vanno cambiate, anche se devono essere rispettate finché ci sono e devo riconoscere», ha aggiunto il sindaco, «che finora la reazione degli allevatori, a parte qualche imprecazione, è stata encomiabile».
Campedelli ha sottolineato la singolarità della Lessinia, «che non è data dalla presenza dei grandi carnivori, ma del territorio con una densità di capi allevati unica al mondo e per questo fin dal 1850 si è definitivamente liberata di competitori così temibili».
Ha richiamato i temi che da più parti vengono ripresi: il rischio che con l’inverno i predatori entrino in contrada alla ricerca di cibo per la scarsità di fauna selvatica disponibile e l’abbondanza di prede domestiche in stalla; l’innata paura contro la quale poco servono le rassicurazioni degli esperti; il rischio di incrocio con cani selvatici che dà vita a soggetti ibridi ancor più pericolosi perché meno timorosi della presenza umana; il posizionamento di fototrappole anche su proprietà private per le quali ha chiesto di venire informato: «Si tutelano i lupi che si stima siano tra i mille e i 5mila in Italia, ma in realtà sono più a rischio di estinzione malgari e allevatori di montagna», ha concluso, leggendo il documento sottoscritto da tutti e nel quale oltre allo spostamento e all’uscita dal progetto si chiede alla Regione di farsi carico delle operazioni di recupero e smaltimento delle carcasse predate; che sia affidata a un ente terzo la valutazione dei danni diretti e indiretti delle predazioni e in subordine di affidare ai Comuni il risarcimento immediato per poi essere a loro volta risarciti. L’ultimo appello è stato ai parlamentari europei veronesi perché si adoperino per un cambio di strategia della politica protezionistica comunitaria in materia di predatori.
A nome della minoranza del Partito democratico, Lorenzo Dalai ha voluto sottolineare che anche in città l’atteggiamento è cambiato: «Si capisce che non è più solo un problema di montanari ma che in questo contesto i lupi creano danni irrisolvibili per un’adesione avventata a un progetto incompatibile con questo territorio».
Ha già interessato il collega di partito e deputato Diego Zardini unico veneto in commissione Ambiente e il sottosegretario Barbara Degani con delega all’Ambiente per una visita sul posto, magari anche con il ministro Gian Luca Galletti per fargli toccare con mano le difficoltà: «Se vogliamo bene alla natura dobbiamo evitare la presenza del lupo in Lessinia», ha concluso, citando che su 9 lupi uccisi in Toscana, 6 erano esemplari ibridati con cani selvatici.
La sospensione del Consiglio ha permesso gli interventi del pubblico, tutti pacati e desiderosi di meglio capire come uscire da una situazione di evidente difficoltà. È stata rimarcata l’impossibilità di applicare in alpeggio i sistemi di prevenzione indicati dal progetto Life WolfAlps; denunciata la connivenza della Comunità montana che ha aderito e del Parco che non è stato da subito critico e non hanno coinvolto la popolazione locale nelle decisioni; la svalutazione del patrimonio gravato dalla presenza dei predatori.
«Ci è stato risposto che se difendiamo bene il nostro bestiame, il lupo non avendo la possibilità di mangiare se ne andrà», ha precisato il consigliere Daniele Massella, «in realtà non se ne va, ma amplia solo il suo territorio di caccia. È il mondo scientifico che non dice la verità sui lupi, ibridi per la maggior parte, e la politica non lo capisce perché si affida a esperti che tali non sono. L’unica cosa che funziona è sparare, il resto sono palliativi che se non funzionano sarà sempre colpa dell’allevatore che non ha saputo usarli bene».
Giuliano Menegazzi ha citato infine un documento pubblicato in Francia dove 35 scienziati ed esperti intervengono a favore degli allevatori danneggiati dai predatori e chiedono una revisione della politica comunitaria in materia. «In Francia l’unica prevenzione che funziona sono un operaio pagato per l’85 per cento dallo Stato che sorveglia il gregge 24 ore; l’affitto degli alpeggi pagato per l’80 per cento dallo Stato; quattro persone armate a guardia della proprietà, con un ricavo annuale di 15mila euro per un’intera famiglia». Dal pubblico si è alzata la voce di un vecchio allevatore: «I lupi non servono a nulla: portano solo paura. Noi siamo venuti grandi senza lupi»
Vittorio Zambaldo – L’Arena – 1 novembre 2014