Repubblica. Un patto tra governo e parti sociali per un «taglio shock» al cuneo fiscale, ovvero al costo del lavoro. Lo propone il segretario del Pd Enrico Letta, pescando il consenso scontato di Confindustria che spinge da tempo in questa direzione. Ma anche quello di Lega e M5S. Il tema è tornato di nuovo al centro del confronto politico dopo l’annuncio del premier Draghi di convocare presto, al massimo entro due settimane, imprese e sindacati.
Ecco che il Pd avanza la sua proposta di intervento in due tempi. Subito a luglio per i lavoratori poveri, rafforzando il taglio dello 0,8% una tantum già in vigore fino a dicembre (ma ci sono dubbi di Palazzo Chigi sulla sua efficacia). E l’altro strutturale in ottobre nella legge di bilancio, a valere dal 2023, coperto col gettito della lotta all’evasione. Il taglio porterebbe una mensilità in più nelle tasche di 15 milioni di lavoratori dipendenti con retribuzioni fino a 35 mila euro lordi.
«Propongo da qui un patto tra governo e parti sociali», dice Enrico Letta alla platea del congresso dei Giovani imprenditori di Confindustria a Rapallo. «Mettiamo il grosso delle risorse del bilancio sulla riduzione del costo del lavoro, un intervento shock sul cuneo fiscale». Il leghista Matteo Salvini concorda, ma rilancia: «Va bene il taglio al cuneo, ma serve anche la pace fiscale sulle cartelle». L’ex premier Giuseppe Conte (M5S) chiede che sia un taglio «incisivo». Mentre Matteo Renzi (Iv) attacca: «Tutti parlano, noi l’abbiamo fatto con gli 80 euro».
Soddisfatto il presidente di Confindustria Carlo Bonomi: «Tutti i leader dei partiti sono d’accordo, allora fatelo lunedì». E rilancia la sua proposta di un taglio da 16 miliardi, per due terzi a favore dei lavoratori (10,7 miliardi) e un terzo delle imprese (5,3 miliardi). Il beneficio massimo, per una retribuzione da 35 mila euro, sarebbe di 1.835 euro all’anno che al netto delle tasse diventano 795 euro.
Nel 2020 il cuneo fiscale e contributivo – l’incidenza di tasse e versamenti previdenziali sulla busta paga – pesava per il 46% in Italia, contro una media Ocse del 34,6%. Con il taglio proposto da Confindustria scenderebbe al 42,9%, se fosse esteso a tutti i lavoratori, avvicinandosialla media dell’Eurozona del 41,7%. Se applicato solo ai redditi fino a 35 mila euro, calerebbe al 40,8%. In pratica 5,24 punti percentuali in meno: 3,49 a favore del lavoratore (dal 9,19%) e 1,75 per il datore di lavoro (dal 23,81%).
«Con il taglio ipotizzato da Enrico Letta daremmo una quattordicesima a tutti i lavoratori fino a 35 mila euro», spiega Antonio Misiani, responsabile economico del Pd. «D’altro canto, dopo i bonus e gli aiuti in fase d’emergenza ora è il momento di un cambio di passo nella difesa del potere d’acquisto, a questo serve il patto sociale. Ovviamente nella nostra idea di intervento c’è anche il salario minimo, i rinnovi contrattuali e l’attuazione del Pnrr per aumentare la produttività: anche le imprese devono fare la loro parte». E di fatto il ministro del Lavoro Andrea Orlando (Pd) lavora a una proposta di salario minimo da sottoporre a sindacati e imprese. L’idea del ministro è l’ ergaomnes , ovvero applicare ai lavoratori non tutelati il trattamento economico minimo dei contratti nazionali maggiormente rappresentativi per estendere non solo un livello decente di retribuzione, ma anche i diritti tutelati dai contratti.
Si potrebbe iniziare – in via sperimentale come fatto in Germania dai settori più fragili laddove i minimi sono ben al di sotto della soglia dei 9 euro lordi all’ora di cui si parla. Lo propone anche Tiziano Treu, presidente del Cnel: «Partiamo da logistica, servizi sanitari privati, pulizie: aree di contratti pirata, siglati da associazioni imprenditoriali o sindacali semisconosciute». L’ipotesi sarebbe fattibile, anche grazie alle banche dati del Cnel.