Tornano alla carica per chiedere la fine di una «discriminazione» ingiustificata, gli specializzandi sanitari non medici. E lo fanno con una lettera aperta inviata a metà maggio al presidente Napolitano, al premier Letta e ai ministri Carrozza, Lorenzin e Giovannini, in cui parlano di «razzismo di categoria» e denunciano gli abusi e lo sfruttamento da parte di direttori e docenti. Da un lato ci sono stati i medici che, seppur dopo anni di battaglie, hanno visto riconosciuto il diritto al contratto di formazione specialistica. Dall’altro sono rimasti loro (biologi, chimici, fisici, farmacisti, odontoiatri, psicologi, veterinari e lauree equipollenti), senza contratto, senza retribuzione e senza alcuna forma di tutela. La lettera aperta.
La lettera è firmata dal gruppo Facebook “Biologi e non medici sanitari specializzandi: legge per i contratti” (coordinato da Elisabetta Caredda). Tutto è cominciato – raccontano – «quando il legislatore italiano ha recepito la normativa europea prevedendo, senza delega del legislatore comunitario, che il diritto ai contratti di formazione specialistica fosse esclusivamente riservato agli specializzandi medici, senza curarsi di estenderlo a quelli non medici (fino ad arrivare ad una insostenibile situazione asimmetrica nel diritto».
Oltre alla discriminazione in base alla laurea, nella lettera si osserva che «appare compromesso l’ascensore sociale e lo sbocco occupazionale di chi non ha reddito sufficiente per intraprendere un percorso specialistico spesso fuori dalla propria residenza, che mediamente dura cinque anni dopo la laurea e prevede una dura selezione d’ingresso». Non aiuta il comportamento di direttori e docenti universitari, autori – dicono gli specializzandi non medici – «di un vero e proprio sfruttamento degli specializzandi non medici sanitari che li vedono nei laboratori diagnostici e nelle attività assistenziali, coprire orari e giornate spettanti a quello che dovrebbe essere il personale universitario e delle aziende sanitarie, avente contratto. Arrivano a timbrare il badge o a dover firmare l’orario di ingresso e di uscita, vengono inibite spesso agli specializzandi eventuali attività alternative svolte allo scopo di auto sostenersi, così come vengono fatti loro problemi per giornate di ferie, trasferimenti a università più vicine alla loro residenza e, nel caso delle ragazze, anche per la maternità».
Non solo. Gli specializzandi non medici scontano le stesse difficoltà di accesso al mercato del lavoro, legate al rigido dal blocco del turnover, ai tagli, ai piani di rientro.
«Per la frequenza dei corsi di dottorato di ricerca – denuncia ancora la lettera – è previsto che la borsa di studio, ai posti di concorso assegnata, possa essere data soltanto una volta. Ci si può poi riscrivere a un secondo, terzo e quanti ancora si voglia corsi di dottorato ma senza borsa di studio. Questo vale anche per i dottorati attivati dalle facoltà di medicina e chirurgia».
Gli specializzandi non medici chiedono soluzioni urgenti. E ricordano che alla Camera giace la proposta di legge C285 firmata da Francesco Sanna (Pd) che punta proprio a sanare la loro situazione, equiparando lo status giuridico ed economico degli specializzandi non medici che afferiscono alle scuole di specializzazione di area sanitaria.
Il Sole 24 Ore sanità – 15 giugno 2013