L’Europa accelera sul Ttip, l’accordo di libero scambio tra l’Unione europea e gli Stati Uniti, e gli europei scendono in piazza per dire “no” all’intesa che i governo sulle due sponde dell’Atlantico vorrebbero raggiungere entro fine anno. Sembra quasi un paradosso, ma mentre ieri il Commissario Ue al Commercio, Cecilia Malmstroem, faceva trapelare l’idea di proporre l’eliminazione del 97% delle tariffe doganali tra Europa e Stati Uniti al prossimo round di negoziati in agenda a Miami dal 19 al 23 ottobre, per non fallire la trattativa, iniziava la settimana di proteste contro il trattato di libero scambio con una serie di manifestazioni nelle principali piazze del Vecchio continente.
Solo a Berlino sono scese in strada oltre 100mila persone per rispondere all’invito di diverse organizzazioni della società civile tra cui Greenpeace, Oxfam e la Confederazione dei sindacati tedeschi. Gli organizzatori della protesta temono che il trattato possa abbassare gli standard di qualità, sicurezza e tutela ambientale, nonché mettere in pericoli i diritti dei lavoratori. “Non vogliamo che i diritti dei consumatori vengano ridotti e soprattutto non vogliamo vivere in una dittatura delle società” hanno detto alcuni manifestanti, mentre Dieter Bartsch, uno dei leader della sinistra tedesca, ha messo l’accetto sulla mancanza di trasparenza che circonda i negoziati: “Abbiamo il diritto di sapere cosa viene deciso”. La manifestazione segue quella del 18 aprile scorso.
Duro il giudizio del Movimento 5 Stelle: “E’ grave che governo e gran parte della stampa non riescano a rompere il proprio silenzio sul Ttip nemmeno per la mobilitazione internazionale in cui la società civile, dopo aver raccolto oltre 3 milioni di firme contro il Trattato, grida ancora più forte il suo “no” ad un accordo che rischia di asfaltare made in Italy e sovranità nazionale in cambio di un aumento del Pil europeo dello 0,03% annuo, come calcolato dalla stessa Commissione Ue”.
Secondo i calcoli fatti proprio dalla Commissione Ue, l’economia europea ne trarrebbe un cospicuo vantaggio, calcolabile in un aumento del Pil di quasi 120 miliardi di euro l’anno. Un aumento che andrebbe a regime, però, solo nel 2027, dopo 10 anni di funzionamento del patto. Tradotto: l’economia europea crescerebbe di mezzo punto di Pil nell’arco di dieci anni: dunque, lo 0,05 per cento in più l’anno. I critici, però, temono che il trattato distrugga posti di lavoro, causando disoccupazione dove i diritti dei lavorati sono più elevati (in questo caso in Europa). Tra i casi citati ricorre spesso quello del Nafta, l’accordo di libero scambio tra Stati Uniti, Canada e Messico: in 12 anni gli Usa hanno perso un milione di posti di lavoro, anziché crearne migliaia di nuovi.
Il Parlamento europeo, nel frattempo, ha messo i suoi paletti raccomandando ai negoziatori che l’accordo Ue-Usa deve aprire il mercato statunitense alle imprese europee senza compromettere gli standard comunitari, ricordando che sarà proprio Starburgo a doversi pronunciare per ultimo sul trattato. La settimana scorsa intanto gli Usa hanno ratificato il Tpp, il trattato con l’Asia.
Repubblica – 11 ottobre 2015