Con puntualità lussemburghese, le 9.33 di ieri mattina, il presidente sloveno della Corte di Giustizia europea, Marko Ilesic, dà lettura dell’attesa sentenza sui precari italiani della scuola. In tre pagine scritte nella nostra lingua, la sentenza dice: i contratti a tempo determinato per gli insegnanti italiani chiamati a sostituire docenti di cattedra violano le direttive europee. Poi, i precari che hanno superato i trentasei mesi di insegnamento a scuola e che sono stati chiamati in ruolo ma solo a tempo determinato devono essere assunti oppure risarciti. L’Italia, infine, deve dare un’alternativa certa alle graduatorie, ovvero fare i concorsi pubblici. È una sentenza attesa, ma da noi deflagra in tutta la sua potenza. E’ vero che la sentenza prende spunto da un ricorso di alcuni operatori della scuola, ma costituisce un precedente che potrebbe avere valenza generale e aprire a strada a una ridda di ricorsi. E toccare anche le situazioni di lavoro precario negli altri comparti della pubblica amministrazione. Sanità compresa.
Secondo i calcoli dell’Anief, un piccolo sindacato palermitano che ha iniziato per primo questa battaglia nel 2010, sono 250-270 mila gli insegnanti precari saliti in cattedra per almeno 36 mesi negli ultimi undici anni. Lo dicono le graduatorie storiche del Miur e i dati Inps. Se i “precari + 36” si rivolgeranno a un tribunale del lavoro italiano, con in mano la nuova sentenza europea, la strada della loro assunzione diventerà certa. Il dispositivo lussemburghese, che interessa anche amministrativi e bidelli (Ata), prevede indennizzi per gli scatti d’anzianità fin qui non riconosciuti, dal 2002 al 2012.
Sono due miliardi di euro, secondo i calcoli sindacali. L’avvocato dell’Anief Walter Miceli, che cura il ricorso dal 2012, quando la Cassazione lo fermò e un Tribunale del lavoro di Napoli chiese successivamente lumi alla Corte europea, allarga la platea dei possibili lavoratori sanabili: «Questa sentenza può essere applicata a tutto il pubblico impiego, apriremo vertenze per la formazione musicale, nella Sanità, nelle Regioni, nei Comuni. È una sentenza storica». Così la Cgil scuola con il segretario Domenico Pantaleo: «Farà da apripista per centinaia di migliaia di precari che da anni coprono posti vacanti facendo funzionare tutte le pubbliche amministrazioni». La Gilda: «Se il ministro riduce tutto a 18 mila aventi diritto non ha capito la portata della sentenza. A dicembre, visto il volume delle iniziative giudiziarie, comprenderà». (Repubblica)
PRECARIATO. CORTE GIUSTIZIA EUROPEA CONDANNA L’ITALIA: “STOP AI CONTRATTI A TERMINE NELLA PA”
La sentenza prende spunto da un ricorso di alcuni operatori della scuola. Ma costituisce un precedente che potrebbe avere valenza generale e aprire a strada a una ridda di ricorsi. E così dopo la scuola, potrebbe toccare anche le situazioni di lavoro precario negli altri comparti della pubblica amministrazione. Sanità compresa.
La tanto attesa sentenza della Corte di giustizia europea sul precariato pubblico (cause riunite C-22/13, C-61/13, C-62/13, C-63/13 e causa C-418/13) è stata letta dai giudici della Terza Sezione della Corte alle ore 9.33 del 26/11/2014, alla presenza degli avvocati dei ricorrenti e degli avvocati delle organizzazioni sindacali CGIL, Flc CGIL e Gilda Unams intervenute in udienza a supporto dei precari.
La Corte di giustizia con una chiara e limpida sentenza, che fuga ogni dubbio, sancisce la totale l’incompatibilità della normativa italiana in tema di contratti a termine nella P.a. con la direttiva 70/1999 dell’Unione europea.
Al punto 72 della sentenza secondo la Corte “occorre ricordare che la clausola 5, punto 1, dell’accordo quadro mira ad attuare uno degli obiettivi perseguiti dallo stesso, vale a dire limitare il ricorso a una successione di contratti o rapporti di lavoro a tempo determinato, considerato come una potenziale fonte di abuso in danno dei lavoratori, prevedendo un certo numero di disposizioni di tutela minima tese ad evitare la precarizzazione della situazione dei lavoratori dipendenti (v., in particolare, sentenze Adeneler e a., C 212/04, EU:C:2006:443, punto 63; Kücük, C 586/10, EU:C:2012:39, punto 25, nonché Fiamingo e a., EU:C:2014:2044, punto 54)”; al punto 73 la Corte afferma che “come risulta dal secondo comma del preambolo dell’accordo quadro, così come dai punti 6 e 8 delle considerazioni generali di detto accordo quadro, infatti, il beneficio della stabilità dell’impiego è inteso come un elemento portante della tutela dei lavoratori, mentre soltanto in alcune circostanze i contratti di lavoro a tempo determinato sono atti a rispondere alle esigenze sia dei datori di lavoro sia dei lavoratori (sentenze Adeneler e a., EU:C:2006:443, punto 62, nonché Fiamingo e a., EU:C:2014:2044, punto 55)”.
La Corte interviene sulla nozione di ragioni obiettive, ciò quelle in grado di derogare all’accordo quadro e rendere giustificata la stipula di contratti a termine, ribadendo il concetto che queste devono essere reali e non ipotetiche. A tal proposito la Corte statuisce che “di conseguenza, contrariamente a quanto sostiene il governo italiano, il solo fatto che la normativa nazionale di cui trattasi nei procedimenti principali possa essere giustificata da una «ragione obiettiva» ai sensi di tale disposizione non può essere sufficiente a renderla ad essa conforme, se risulta che l’applicazione concreta di detta normativa conduce, nei fatti, a un ricorso abusivo a una successione di contratti di lavoro a tempo determinato”, al punto 108 continua la Corte stabilendo checome “ne deriva che una normativa nazionale, quale quella di cui ai procedimenti principali, sebbene limiti formalmente il ricorso ai contratti di lavoro a tempo determinato per provvedere a supplenze annuali per posti vacanti e disponibili nelle scuole statali solo per un periodo temporaneo fino all’espletamento delle procedure concorsuali, non consente di garantire che l’applicazione concreta di tale ragione obiettiva, in considerazione delle particolarità dell’attività di cui trattasi e delle condizioni del suo esercizio, sia conforme ai requisiti dell’accordo quadro”.
Un duro colpo per lo Stato italiano, che ora non ha più alibi e deve procedere alla stabilizzazione di tutto il personale precario della scuola, della sanità, dei ministeri, comuni ecc., altrimenti saranno i Tribunali a supplire a tale carenza. Se la situazione non verrà sanata nel breve periodo, essendo il nostro paese sotto procedura di infrazione da parte della Commissione europea (procedura 2124/2010) per abuso dei contratti a termine, procedura estesa ad agosto 2013 a tutto il precariato pubblico, verremo tra l’altro condannati al pagamento di una multa milionaria, che certamente, con la grave crisi economica attuale, non possiamo permetterci.
Perentoria è la Corte al punto 110 dove esplicita che “a tale riguardo, va ricordato che, sebbene considerazioni di bilancio possano costituire il fondamento delle scelte di politica sociale di uno Stato membro e possano influenzare la natura ovvero la portata delle misure che esso intende adottare, esse non costituiscono tuttavia, di per sé, un obiettivo perseguito da tale politica e, pertanto, non possono giustificare l’assenza di qualsiasi misura di prevenzione del ricorso abusivo a una successione di contratti di lavoro a tempo determinato ai sensi della clausola 5, punto 1, dell’accordo quadro (v., per analogia, sentenza Thiele Meneses, C 220/12, EU:C:2013:683, punto 43 e giurisprudenza ivi citata)”.
La Corte continua a bacchettare lo Stato italiano al punto 118 dicendo a chiare lettere che “sebbene, certamente, uno Stato membro possa legittimamente, nell’attuazione della clausola 5, punto 1, dell’accordo quadro, prendere in considerazione esigenze di un settore specifico come quello dell’insegnamento, così come già rilevato ai punti 70 e 95 della presente sentenza,tale facoltà non può essere intesa nel senso di consentirgli di esimersi dall’osservanza dell’obbligo di prevedere una misura adeguata per sanzionare debitamente il ricorso abusivo a una successione di contratti di lavoro a tempo determinato”;una totale censura di quanto posto in essere fino ad oggi dallo Stato italiano.
La Corte conclude statuendo che si deve rispondere ai giudici del rinvio dichiarando che la clausola 5, punto 1, dell’accordo quadro deve essere interpretata nel senso che osta a una normativa nazionale, quale quella di cui trattasi nei procedimenti principali, che autorizzi, in attesa dell’espletamento delle procedure concorsuali per l’assunzione di personale di ruolo delle scuole statali, il rinnovo di contratti di lavoro a tempo determinato per la copertura di posti vacanti e disponibili di docenti nonché di personale amministrativo, tecnico e ausiliario, senza indicare tempi certi per l’espletamento di dette procedure concorsuali ed escludendo qualsiasi possibilità, per tali docenti e detto personale, di ottenere il risarcimento del danno eventualmente subito a causa di un siffatto rinnovo. Risulta, infatti, che tale normativa, fatte salve le necessarie verifiche da parte dei giudici del rinvio, da un lato, non consente di definire criteri obiettivi e trasparenti al fine di verificare se il rinnovo di tali contratti risponda effettivamente ad un’esigenza reale, sia idoneo a conseguire l’obiettivo perseguito e sia necessario a tal fine, e, dall’altro, non prevede nessun’altra misura diretta a prevenire e a sanzionare il ricorso abusivo ad una successione di contratti di lavoro a tempo determinato.
Appare chiaro dalla sentenza della Corte di giustizia il fallimento della legislazione italiana in tema di contratti a termine e misure in grado di prevenire e sanzionare l’utilizzo abusivo dei contratti a termine.
Una sentenza di giustizia sociale per tutti quei precari che, abusati dalla Pubblica amministrazione, senza alcun riconoscimento degli scatti di anzianità e di molti istituti contrattuali, sono stati relegati ad un angolo come se fossero figli di un Dio minore. (Pierpaolo Volpe, Infermiere legale e forense, Taranto – Quotidiano sanità)
LA SENTENZA SUI PRECARI. LA PAROLA ALLA CONSULTA E AI GIUDICI DI MERITO
Il rinnovo di contratti o di rapporti di lavoro a tempo determinato per soddisfare esigenze che, di fatto, hanno un carattere non provvisorio, ma permanente e durevole, non è giustificato in base alle regole comunitarie. È in questa discrepanza tra previsione teorica e applicazione pratica che i giudici comunitari hanno individuato il contrasto con la normativa europea che ha portato alla sentenza sui precari della scuola.
Contrariamente a quanto sostiene il Governo italiano – sostiene la Corte – il solo fatto che la normativa nazionale possa essere giustificata da una «ragione obiettiva» (come la necessità di organizzare le procedure concorsuali) non può essere sufficiente, se risulta che l’applicazione concreta della normativa conduce, nei fatti, a un ricorso abusivo a una successione di contratti di lavoro a tempo determinato.
In definitiva, dagli elementi forniti alla Corte è emerso che la normativa scolastica italiana non prevede, fatte salve le verifiche dei giudici nazionali, alcuna misura di prevenzione del ricorso abusivo a una successione di contratti di lavoro a tempo determinato, non prevedendo neppure il diritto al risarcimento del danno, né la trasformazione dei rapporti a tempo determinato successivi in contratto o rapporto di lavoro a tempo indeterminato.
Le centinaia di ricorsi pendenti davanti alle Corti di merito italiane, sia in primo grado che in appello, che sono stati oggetto di vari rinvii in attesa della pronuncia di ieri, possono ora essere decisi sulla base della sentenza europea. Contemporaneamente è facile aspettarsi una nuova ondata di ricorsi da parte del personale scolastico che abbia maturato i 36 mesi negli ultimi tre anni scolastici e sia stato di nuovo assunto a tempo determinato anche nel corrente.
Non è detto, però, che le sentenze di merito risulteranno tutte del medesimo tenore. Infatti, la stessa Corte Ue sostiene che spetta solo ai giudici nazionali «esaminare di volta in volta tutte le circostanze del caso, prendendo in considerazione, in particolare, il numero dei contratti successivi stipulati con la stessa persona oppure per lo svolgimento di uno stesso lavoro, al fine di escludere che contratti o rapporti di lavoro a tempo determinato, sebbene palesemente conclusi per soddisfare un’esigenza di personale sostitutivo, siano utilizzati in modo abusivo dai datori di lavoro».
Anche la Corte costituzionale, che aveva rimesso la questione ai giudici lussemburghesi, dovrà decidere le conseguenze sul piano della legislazione interna. Un punto soggetto a interpretazione riguarderà i contratti di lavoro a tempo determinato che si considerano «per la copertura di posti vacanti e disponibili»: vi rientrano tutte le supplenze con durata fino al 30 giugno, o solo quelle su posto effettivamente privo di titolare, di solito con durata fino al 31 agosto?
Una volta stabilita l’illegittima reiterazione dei contratti a tempo determinato, inoltre, è possibile che ci siano molteplici orientamenti giurisprudenziali anche in ordine alle conseguenze sanzionatorie, che potranno prevedere la conversione dei contratti a tempo indeterminato e il risarcimento del danno.(Il Sole 24 ore)
27 novembre 2014