Si era aperta con le inchieste giudiziarie, con i ritardi nei lavori, con le polemiche politiche e le previsioni di disfatta, Expo invece si chiude con il messaggio di Sergio Mattarella. «Possiamo dire serenamente che la sfida, rivolta prima di tutto a noi stessi, è stata vinta». Il capo dello Stato dichiara ufficialmente conclusa l’avventura aperta il primo maggio scorso, 21 milioni sono stati i visitatori, un terzo provenienti fuori dall’Italia.
Numeri dai quali Mattarella trae il suo messaggio politico. «La sfida non è stata vinta da qualcuno contro qualcun altro. È stata vinta da un’Italia che, quando si unisce in un impegno comune, evitando che le naturali diversità producano eccessi di antagonismo, sa esprimere grandi doti e mostrare al mondo le sue originali qualità». Un’unità dimostrata dal fatto che tanti governi, di diverso colore politico si sono succeduti fino a oggi (da Prodi a Renzi) e che gli attuali governi regionali, comunali, nazionali, pur nella differente appartenenza politica, hanno contribuito a portare quei numeri così inattesi.
In politica si chiama “fare squadra”, il capo dello Stato usa il linguaggio più istituzionale delle «cose che ci uniscono che sono superiori a quelle che legittimamente ci separano». E dà un consiglio a maggioranze e opposizioni: «Per riconquistare credibilità e fiducia il nostro dibattito pubblico non può oscurare le sinergie e i terreni di convergenza, pena un generale impoverimento. L’Italia vince se è consapevole del valore della sua unità, se è capace di sanare le fratture anziché approfondirle». Un messaggio che si allontana anche dalle parole di Raffaele Cantone che aveva trovato in Milano una capitale morale a differenza di Roma, e che si allontana dalla polemica di chi, tra i partiti, preferiva scommettere sull’insuccesso di Expo per puro spirito di parte.
E se oggi la sfida è stata vinta, Mattarella chiede che il dialogo continui a tutti i livelli. Naturalmente c’è il ringraziamento ai governi, ai cittadini, alle istituzioni, alle forze dell’ordine e ai volontari. «E grazie Commissario Sala per il suo lavoro!». Un grazie per ciò che stato fatto ma anche l’aspettativa che ora la politica sia capace di non disperdere queste esperienze, il contributo di intelligenze ed esperienze professionali. «Una nuova prova comincia per noi domani. Riguarda l’utilizzo di quest’area, il sito di Expo. Confido in una scelta saggia, che andrà a beneficio di Milano, della Lombardia e dell’intero Paese. Dare continuità a questo impegno, e a questo successo, non è soltanto un dovere morale. È un’impresa affascinante». Il capo dello Stato chiama in causa i giovani, i talenti migliori, la creatività italiana ed europea augurandosi che siano le prime forze a essere coinvolte del giorno-dopo Expo. «Il testimone deve passare di mano e procedere velocemente. La ricerca, l’università sono sostegni decisivi. Il risultato di Expo ha suscitato giuste attese: nessuno deve deluderle».
Un bilancio che si chiude positivamente ma si tratta di una chiusura che Mattarella considera temporanea perché, appunto, nel bilancio finale ci sarà anche la valutazione su cosa diventerà l’area Expo. «La giornata di oggi, insomma, non è un addio ma un passaggio. È l’inizio di un nuovo impegno civico». Il simbolo di questa eredità resta l’Albero della Vita che il capo dello Stato si augura «rimanga come testimonianza della rete di intelligenze e di solidarietà che Milano – alla quale rivolgo il mio ringraziamento, caro sindaco – ha messo in campo nell’arco di questi sei mesi».
L’eredità è anche la Carta di Milano, la crescita sostenibile, la lotta agli sprechi e alla fame, una stagione di sviluppo che si integri con l’equità e la dignità della persona. «Il maggiore successo dell’Expo, e dunque il suo lascito, sta nell’aver cercato di definire il cibo come lingua comune dei popoli». Una lingua che può contribuire a combattere guerre e fondamentalismi. «La lotta alla fame e alla sete sono pietre angolari di un nuovo governo globale, fondato sulla collaborazione economica e sull’affermazione dei diritti umani. Esattamente il contrario degli scontri di civiltà e delle guerre di religione».
Lina Palmerini – Il Sole 24 Ore – 1 novembre 2015