Un reintegro nel posto di lavoro possibile ma non obbligatorio. È questa la soluzione sui licenziamenti disciplinari alla quale stanno lavorando i tecnici di Palazzo Chigi. Una soluzione che si gioca sul filo delle parole, per trovare l’equilibrio tra la minoranza del Pd e i centristi di Ncd. Come funzionerebbe? Con le regole di oggi, in caso di licenziamento disciplinare giudicato illegittimo dal magistrato, il reintegro scatta in automatico. In teoria il lavoratore, soltanto lui, può rinunciare al reintegro e accettare un indennizzo. Ma nei fatti non succede quasi mai.
Con l’ipotesi allo studio del governo, potrebbe essere anche il solo datore di lavoro a decidere di sostituire il reintegro con l’indennizzo. E potrebbe farlo anche se il lavoratore non è d’accordo. L’indennizzo sarebbe maggiorato rispetto a quello standard e aumenterebbe con l’anzianità di servizio del dipendente, applicando quel principio delle tutele crescenti che il governo vuole estendere a tutta la legislazione sul lavoro.
La soluzione avrebbe il vantaggio di essere compatibile con il documento votato nella direzione del Pd che il governo si è impegnato a recepire nel Jobs act, il disegno di legge delega all’esame del Senato . Il reintegro per i licenziamenti disciplinari, infatti, resterebbe possibile come chiesto dalla minoranza del partito. Ma potrebbe essere comunque superato con l’indennizzo, come chiede invece Ncd. E come vorrebbe lo stesso Matteo Renzi che ieri da Londra, non a caso, ha ricordato come «in Gran Bretagna sia normale decidere di licenziare dando un indennizzo come stabilito dalla legge e la questione è chiusa». In ogni caso la partita vera si giocherà nelle prossime settimane. Scartata l’ipotesi dell’emendamento, troppo vago lo strumento dell’ordine del giorno che rappresenta solo un impegno politico, le modifiche vere e proprie arriveranno solo con le norme attuative, da emanare una volta approvato il Jobs act. I centristi confermano la richiesta di lasciare il ddl così com’è. Dalla minoranza pd, Stefano Fassina ribatte secco: «Così com’è non lo voto», e aggiunge che porre la questione di fiducia per tenere insieme la maggioranza sarebbe di «dubbia costituzionalità».
Da gennaio dovrebbe partire il nuovo Isee, l’indicatore che misura il patrimonio delle persone per definire le graduatorie d’accesso ai servizi sociali. Ma a valle resta un altro problema. Il ministro del Lavoro Giuliano Poletti ricorda che non c’è una copertura pluriennale per i fondi dedicati alle politiche sociali e alla non autosufficienza. Uno dei problemi da affrontare nella legge di Stabilità.
Lorenzo Salvia – Il Corriere della Sera – 3 ottobre 2014