Sfogliando tra le decine di norme raccolte nei 38 articoli che compongono la legge 135 del 7 agosto 2012, pubblicata ieri in Gazzetta ufficiale, non è difficile arrivare al capitolo a più elevato impatto sociale, quello sul quale devono essersi concentrate le preoccupazioni del capo dello Stato. Si tratta dei nuovi interventi sulla sanità. Due le misure simbolo della spending review: il taglio di circa 15mila posti letto e la «spinta» a prescrivere i più economici farmaci generici, anche se in questo calo l’ultima parola spetterà sempre al medico che potrà indicare in ricetta, al posto del semplice principio attivo, il medicinale di marca.
La revisione della spesa decisa per il Sistema sanitario nazionale è destinata a lasciare un segno particolare a causa del suo sovrapporsi ad altri tagli lineari, quelli varati nel luglio del 2011 dal Governo Berlusconi, che vanno a regime. Alla fine l’ammontare dei nuovi risparmi per il Ssn sarà complessivamente di 6,8 miliardi da qui al 2015. Una cura dimagrante che, come detto, si somma a quella disposta con la manovra del luglio 2011 che aveva già messo a dieta il Ssn per altri 7,9 miliardi a valere su 2013 e 2014.
Sul fronte ospedali, in particolare, si prevede che entro il prossimo 31 ottobre si individuino gli standard qualitativi, strutturali, tecnologici e quantitativi per l’assistenza ospedaliera da parte delle Regioni. Tappa fondamentale per arrivare al 31 dicembre, termine entro il quale dovranno scattare i «provvedimenti di riduzione» dei posti letto ospedalieri che dovranno essere 3,7 ogni mille abitanti (oggi sono 4). Taglio che sarà attuato al 50% nel pubblico e al 50% nel privato: quindi almeno 7mila – secondo le prime stime – riguarderanno i posti letto degli ospedali pubblici. Il passaggio sarà delicatissimo e da gestire con le Regioni e gli enti locali, che a loro volta, dovranno fare i conti con una modifica del Patto di stabilità (leggi minori trasferimenti) per 9,7 miliardi.
Gli altri due fronti sociali più caldi della spending riguardano poi i tagli del pubblico impiego (circa 24mila dipendenti, di cui 11mila nella Pa centrale e 13mila negli enti territoriali) e la salvaguardia della seconda platea di lavoratori esodati (sono 55mila e il loro pensionamento entro il 2019 costerà circa 4,1 miliardi). Nel primo caso gli interventi sulle piante organiche, da gestire con il coinvolgimento dei sindacati, è previsto con la massima tutela per i dipendenti in sovrannumero, ma questo non significa che non ci saranno problemi; si tratta pur sempre di una mega-operazione di mobilità collettiva con possibili trasferimenti intercompartimentali che non ha precedenti. Sul fronte esodati la delicatezza sociale della questione è legata alle modalità di estensione del provvedimenti attuativo, un decreto interministeriale che non dovrà restringere i criteri di legge
Il Sole 24 Ore – 16 agosto 2012