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L’insostenibile ebbrezza dei nuovi Lea. Perché il traguardo atteso da 15 anni e faticosamente predisposto da Lorenzin rischia di svanire

di Nino Cartabellotta. Con appena un mese di ritardo sulla tabella di marcia del Patto per la salute, il ministro Lorenzin ha messo sul tavolo di Regioni e Mef una corposa documentazione (bozza di Dpcm corredata da 21 allegati), per convincerli che l’impatto economico dei nuovi Lea è assolutamente modesto: solo 414 mln di costi aggiuntivi, ovvero lo 0,37% delle risorse messe a disposizione delle Regioni nel 2015.

Il tanto atteso aggiornamento, che si propone di sostituire il Dpcm 29 novembre 2001, arriva in un momento estremamente conflittuale tra Stato e Regioni che, dopo la sottoscrizione del Patto, si sono dimostrate incapaci di recuperare i 4 mid imposti dal Governo con la legge di Stabilità. Inizialmente, hanno dichiarato di voler rinunciare ai 2 mid di aumento del Fsn; quindi, dopo il pressing del Ministro sono passati ai soliti tagli lineari; infine hanno concordato con il Governo una sforbiciata di 2,3-2,4 mld, senza definire alcun dettaglio su come e dove tagliare.

 In vista del tavolo permanente con le Regioni che dovrebbe concludere il lavoro entro l’estate e considerato che i precedenti tentativi di aggiornamento dei Lea (Turco 2008, Balduzzi 2012) sono andati in fumo – almeno ufficialmente – per mancata copertura finanziaria, è opportuno riflettere su alcune considerazioni che accompagnano la colposa relazione tecnica.

L’incremento di risorse finanziarie di 2,134 mld sembra ormai essere sfumato, nonostante questa volta il Governo abbia messo le Regioni nella condizione ideale per attuare un virtuoso processo di disinvestimento (da sprechi e inefficienze) e riallocazione (in servizi essenziali e innovazione). Infatti, la legge di Stabilità ha ribadito che «i risparmi derivanti dall’applicazione delle misure contenute nel Patto rimangono nella disponibilità delle singole Regioni per finalità sanitarie». Purtroppo, la posizione delle Regioni – sotto il segno di «no money, no Patto» – continua a dimostrarne l’incapacità di attuare una spending review interna, avvezze come sono a difendere strenuamente servizi e prestazioni sanitarie inefficaci e inappropriati per mere logiche di consenso elettorale che non può certo essere compromesso in vista delle elezioni di primavera.  In ogni caso, all’interno della Conferenza Unificata alcune Regioni sono in forte dissenso rispetto alla linea comune, tanto che Lombardia e Veneto hanno depositato il ricorso alla Corte costituzionale contro la legge di Stabilità.

 – Alcune ipotesi di recupero di risorse sono poco realistiche perché mancano di solide basi scientifiche. In particolare, «la riduzione dei costi di altre prestazioni, a seguito della diffusione dei farmaci innovativi per l’epatite C» non tiene conto che le prove di efficacia di questi farmaci oggi si limitano alla clearance del virus dell’epatite dal sangue, ma non è stato ancora dimostrato che riducono significativamente l’evoluzione dell’epatite C in cirrosi e in epatocarcinoma. In ogni caso, eventuali «riduzioni significative di costo per trapianto di fegato» potrebbero essere monetizzabili non prima di un decennio, considerata la lenta evoluzione dell’epatite C.

La sostenibilità economica dei nuovi Lea punta sulle capacità del sistema di recuperare risorse da servizi e prestazioni inappropriate. Tuttavia, se gli strumenti messi in campo per ridurre l’inappropriatezza organizzativa sono già stati sperimentati con successo, è molto più difficile recuperare risorse dall’inappropriatezza professionale. Questa infatti è condizionata da complesse determinanti socio-culturali, fortemente radicate nel sistema: la medicalizzazione della società che determina aspettative irrealistiche di cittadini e pazienti, i conflitti di interesse professionali che generano induzione della domanda e aumento dell’offerta e i timori medico-legali che alimentano la medicina difensiva. Senza disinnescare questa «miscela esplosiva», l’impatto economico dei nuovi Lea potrebbe essere più gravoso del previsto, perché una quota delle nuove prestazioni sarà prescritta/erogata in maniera inappropriata. Inoltre, nella specialistica ambulatoriale, un settore a elevato rischio di inappropriatezza professionale, alcuni strumenti previsti per ridurre l’inappropriatezza professionale («indicazioni prioritarie», «condizioni di erogabilità») potrebbero sortire solo effetti minimi. Senza considerare che l’obbligo di «riportare sulla ricetta la diagnosi o il sospetto diagnostico», potrebbe essere disatteso nascondendosi dietro la tutela della privacy, oppure ignorando che i «controlli» sull’appropriatezza generano spiccate reazioni anticorpali nella classe medica.

La relazione introduttiva richiama poi uno stralcio fondamentale del Patto per la salute, secondo il quale «deve essere potenziato l’intero sistema di governance della sanità attraverso l’utilizzo di strumenti forti e necessari per assicurare la sostenibilità del Ssn, per garantire equità e universalità del sistema, nonché Lea in modo appropriato e uniforme». Questo lascerebbe intendere un potenziamento delle capacità di indirizzo e verifica dello Stato nei confronti delle Regioni al fine di migliorare una delle principali criticità del nostro Ssn, bacchettato anche dal recente rapporto Ocse per «resistenza di 21 diversi sistemi sanitari con enormi diseguaglianze sia nell’offerta di servizi, sia negli esiti di salute». A tal fine, la Camera ha recentemente approvato il nuovo articolo 117 del titolo V, separando nettamente le competenze in materia sanitaria tra Stato e Regioni: la potestà legislativa esclusiva in tema di «disposizioni generali e comuni per la tutela della salute e per le politiche sociali» tocca allo Stato, mentre quella «in materia di programmazione e organizzazione dei servizi sanitari e sociali» viene affidata definitivamente alle Regioni. Tuttavia, lo Stato non recupera affatto il diritto a esercitare i poteri sostitutivi nei confronti delle Regioni inadempienti nell’attuazione dei Lea, perché la legislazione esclusiva riguarda solo la determinazione dei livelli essenziali delle prestazioni concernenti i diritti civili e sodali – ma non quelli sanitari (!) – che devono essere garantiti su tutto il territorio nazionale. Con l’attuale formulazione dell’art. 117 la riforma non assegna in maniera inequivocabile allo Stato il ruolo di garante del diritto alla Salute: a questo punto, solo il Senato potrà risolvere, o meno, questa contraddizione istituzionale per cancellare le diseguaglianze regionali.

In ogni caso, se per una sovrastima dei risparmi e/o una sottostima dei costi l’impatto economico dei nuovi Lea dovesse gravare più del previsto, è indispensabile che lo Stato giochi d’anticipo promuovendo una rigorosa politica di disinvestimento anche con «liste negative» di servizi e prestazioni sanitarie inefficaci, inappropriate e dal low value, al fine di mettere le Regioni in condizioni di erogare i nuovi Lea. In caso contrario, il traguardo atteso da 15 anni e faticosamente predisposto dal Ministro Lorenzin rischia di svanire, e tra gli sprechi del Ssn dovremo contabilizzare anche l’immane lavoro dei tecnici che hanno contribuito al restyling dei Lea.

* presidente Fondazione Gimbe – Il Sole 24 Ore sanità – 3 marzo 2014

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