L’ansia da prestazione regalistica, placatasi nella catarsi del pranzo natalizio e la consueta atmosfera buonista officiata con zuccherose espressioni da tutti i vertici dello Stato preposti all’annuale cerimonia del volemose bene, hanno stemperato il clima di tensione causato dagli scandali bancari e dalla protesta dei medici, culminata nello sciopero del 16 dicembre.
Alla ripresa dei lavori parlamentari mancano molti giorni (i nostri governanti se la sono presa comoda) ma le polemiche sui soldi necessari a rifondere le vittime delle Popolari toscoemiliane e sulle frammistioni delle famiglie Boschi e Renzi nello scandalo occuperanno ancora i media, mentre sulle ragioni dei medici c’è da temere venga calato il velo del silenzio o, peggio, che la protesta venga ridotta e presentata come una delle tante agitazioni per il rinnovo del contratto. Non è così e sarebbe bene che gli italiani capissero che i migliori alleati del Sistema Sanitario Nazionale siamo proprio noi medici che chiediamo, con proposte serie e attuabili, di rivedere, dopo oltre trent’anni dalla Riforma Sanitaria, il rapporto con le Istituzioni Sanitarie perché sono radicalmente mutati i bisogni di salute e la consapevolezza da parte dei pazienti dei propri diritti.
Lorenzin, Padoan e Renzi ne sono consapevoli ma approcciano un problema che è serio – e rischia nel giro di pochi anni di portare la Sanità al tracollo – in modo superficiale e provocatorio: se la Sanità e il Welfare non sono più sopportabili, la colpa è dei medici che quindi vanno “educati” e “intruppati” entro binari definiti dall’alto, con tagli orizzontali (2 miliardi nel 2015) e limitazioni nell’esercizio della professione, con attacchi scriteriati, in nome della tenuta dei conti, a quelle che sono le prerogative alla base del rapporto medico-paziente. L’offerta sanitaria in Italia sta diventando sempre più disuguale, troppi cittadini rinunciano alle cure, le liste d’attesa sono preoccupanti, la compartecipazione alla spesa è in aumento e chi può permetterselo ricorre sempre più frequentemente alla sanità privata che ha strutture eccellenti e ottimi medici. Il fondo sanitario pubblico è di circa 120 miliardi, il 30% in meno della media Ue, e a questi gli italiani aggiungono 34 miliardi di spesa (560 euro a testa) destinata alla Sanità privata: una cifra corrispondente a quel 30% che Stato ha deciso di non finanziare. Si tratta, a ben vedere, di una forma di tassazione occulta a favore del mercato, una tassa destinata ad aumentare a causa delle inefficienze e dei ritardi del servizio pubblico. problema di fondo è proprio questo: il nostro Servizio Sanitario ha finora assicurato servizi di buon livello rispondendo alle aspettativa dei cittadini ma se le cose continueranno come stanno andando rischiamo il naufragio. Perché la popolazione più longeva fa aumentare la spesa sanitaria così come le tecnologie avanzate e i nuovi farmaci e le carenze strutturali e qualitative diventano ogni giorno più gravi. Fronteggiare quella che è già stata definita “la tempesta perfetta” puntando esclusivamente sulla mortificazione del ruolo, dell’autonomia e della responsabilità dei medici è solo una inaccettabile invasione di campo che non risolve, anzi aggrava i problemi. E’ questa la ragione di fondo del disagio e della conseguente protesta dei medici che chiedono alla politica non di definire i criteri di appropriatezza dell’atto clinico attraverso aride statistiche e ridurre i livelli di assistenza e di accesso alle cure aprendo praterie a vantaggio dell’Assistenza privata solo per chi può permetterselo, ma di consentire agli italiani di essere equiparati di fronte alla salute e non di pagare caro le prestazioni dopo avere finanziato la Sanità attraverso le loro tasse.
(Stetoscopio, a cura dell’Ordine dei medici di Vicenza) – Il Giornale di Vicenza – 29 dicembre 2015