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L’intervento. In pensione più tardi, ma con mansioni diverse. L’aumento della speranza di vita e le problematiche di produttività e salari

Vincenzo Galasso, la voce.info. L’aumento della speranza di vita richiede un allungamento della vita lavorativa. Che però si scontra con altre problematiche sul mercato del lavoro. Come la presunta minore produttività dei lavoratori anziani e i salari più elevati con il passare degli anni. Il ruolo delle imprese e del welfare.

IL DILEMMA DEL SISTEMA PREVIDENZALE

Il pensionamento è un momento complesso nella vita delle persone. E può alquanto disorientare la discussione che su questo tema sta avendo luogo in Italia.

Da un lato, si parla infatti – ed insistentemente – di flessibilità in uscita. L’idea – per la verità non proprio nuova – è di consentire ai lavoratori di accedere ai benefici previdenziali prima dei termini attualmente previsti dalla legge, seppure con (forti) penalizzazioni, perché il “pre-pensionamento” avverrebbe completamente con il (meno generoso) sistema contributivo. Dall’altro lato invece, a seguito dell’adeguamento dell’età di pensionamento alla speranza di vita introdotto alcuni anni fa, dal prossimo gennaio si andrà in pensione quattro mesi dopo, ovvero per gli uomini a 66 anni e 7 mesi con una pensione di vecchiaia.

In apparente contraddizione, queste misure rispondono in realtà a due logiche ben precise, e manifestano in pieno il dilemma che il sistema previdenziale si troverà ad affrontare nei prossimi anni. L’aumento della speranza di vita richiede un corrispettivo allungamento della vita lavorativa per poter consentire al sistema previdenziale di essere in equilibrio finanziario. Impossibile, evidentemente, pagare lo stesso beneficio previdenziale a persone che vivono più a lungo, se non aumenta anche il monte contributi. Poiché sono da escludere ulteriori aumenti dei contributi previdenziali, non resta che lavorare più a lungo.

LAVORATORI ANZIANI, AZIENDE E WELFARE

Facile a dirsi, ma in realtà l’allungamento delle vita lavorativa si scontra con altre problematiche sul mercato del lavoro. Al di là delle note criticità evidenziate da lavoratori e sindacati – deterioramento delle condizioni di salute per i lavoratori anziani, esistenza di lavori usuranti e altro ancora – esistono spesso delle forte resistenze anche dal lato delle imprese. I lavoratori anziani sono considerati – non sempre a ragione, come evidenziano diversi studi recenti – poco produttivi. A questa presunta minore produttività si affiancano salari che, per via degli scatti di anzianità, diventano più elevati con il passare degli anni.

Non si tratta di un fenomeno nuovo. Anche in passato le imprese incentivavano i lavoratori anziani, soprattutto quelli ritenuti poco produttivi, a pre-pensionarsi. E non è un fenomeno solo italiano, poiché programmi previdenziali che consentivano il prepensionamento, magari in cambio dell’assunzione (anche solo temporanea) di giovani lavoratori, si sono diffusi in tutta Europa negli anni Ottanta e Novanta. Da almeno dieci anni, tuttavia, questi programmi sono in larga misura scomparsi e l’età effettiva di pensionamento è aumentata ovunque.

È facile prevedere che il trend di progressivo incremento dell’età effettiva di pensionamento continui anche in futuro. Non solo lo stato delle finanze pubbliche, in Italia ma anche altrove, non consentirà alle generazioni future di godere dello stesso trattamento previdenziale dei loro padri – incluso l’accesso al pre-pensionamento. Ma probabilmente la consapevolezza di aver maturato un trattamento previdenziale poco generoso costituirà un incentivo per i lavoratori anziani a trattenersi sul lavoro qualche anno in più per poter ottenere una pensione più elevata.

In questa prospettiva, diventa particolarmente rilevante il ruolo delle imprese nella gestione di una forza lavoro che invecchia. Saranno necessarie misure che consentano di allineare salari e produttività soprattutto per i lavoratori sopra i 50 anni. La possibilità di usare il demansionamento, recentemente introdotta, può andare nella direzione di modificare il profilo salariale per età, se ai lavoratori anziani sanno offerte altre mansioni all’interno dell’impresa, anziché la solita opzione del (pre)pensionamento. Ma maggior attenzione sarà necessaria anche verso politiche aziendali e pubbliche che aumentino la produttività dei lavoratori anziani (si veda un recente rapporto Ocse al riguardo).

Malgrado un possibile e auspicabile riallineamento tra salari e produttività, anche in futuro alcuni lavoratori anziani saranno comunque licenziati. Per questi casi sarà necessario considerare il ricorso al welfare attraverso sussidi di disoccupazione che utilizzino un meccanismo experience rating – ovvero in base al quale le imprese che fanno un maggior ricorso ai licenziamenti pagano contributi sociali (per finanziare i sussidi di disoccupazione) più elevati. Il futuro del sistema previdenziale non potrà prescindere dal buon funzionamento del mercato del lavoro e in generale del welfare.

La voce.info – 25 marzo 2015 

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