Gentile Direttore,
ecco che, con un efficace gioco di prestigio, la carenza di medici è destinata a scomparire. È stato superato il tetto di spesa sul personale? Si è forse deciso di aumentare le retribuzioni dei professionisti e di approvare un contratto che migliori le condizioni del loro lavoro per frenare la fuga dal Servizio sanitario nazionale? Ci si è convinti della necessità di assumere veramente gli specializzandi e di rendere nuovamente attrattivo lavorare in ospedale? Niente affatto!
Il problema si risolve alla radice, peggiorando il metodo con cui si calcola il fabbisogno di personale, per cui per gestire ciascun reparto saranno necessari meno medici. Che dovranno svolgere le stesse attività di oggi, sia ben chiaro. La soluzione era così semplice, sotto gli occhi di tutti, incredibile che non ci abbia mai pensato nessuno.
È quello che sta facendo, ovviamente a porte chiuse, l’AGENAS, offendendo l’intelligenza dei professionisti della salute e sfidando i pazienti, che di pazienza non ne avranno più quando capiranno quel che sta accadendo al Servizio sanitario nazionale e saranno costretti a rivolgersi alle strutture private.
Senza entrare troppo nel tecnico e cercando di annoiare il meno possibile, la logica su cui si basa il documento AGENAS peggiora la già discutibile metodologia del 2017: in poche parole, il fabbisogno sarà calcolato sulla base di un complicato calcolo che lega il numero di medici e professionisti sanitari al volume di attività svolte nell’anno di riferimento, ovvero il 2019, senza tuttavia considerare la complessità clinica dell’attività ma tenendo conto esclusivamente del peso dei DRG che, di fatto, esprimono il peso economico e non clinico delle risorse assorbite per quel tipo di attività.
Se quindi, ad esempio, un reparto nel 2019 è stato chiuso per alcune settimane a causa di lavori di ristrutturazione, improvvisi accorpamenti o tagli ai posti letto, allora la riduzione del numero di ricoveri inciderà fortemente e in negativo sul calcolo del fabbisogno del personale.
Un metodo che di fatto sposa quanto previsto dal DM 70/2015 per l’organizzazione ospedaliera che, creando uno stretto rapporto tra strutture, volumi ed esiti, ha comportato una involuzione dell’assistenza.
Come dimostrato dalla Federazione CIMO-FESMED in una recente analisi, negli ultimi 10 anni tale metodologia ha determinato un drastico taglio di strutture (-111 ospedali) e posti letto (-37 mila), che a cascata ha prodotto una inevitabile riduzione dei ricoveri ordinari (-1,37 milioni) e di day hospital (-1,27 milioni).
Risulta dunque evidente come a meno strutture corrispondano meno prestazioni; ma se le prestazioni diminuiscono, grazie al documento AGENAS, sarà necessario meno personale. Insomma, si riduce l’offerta sanitaria, si riduce il personale, aumentano i bisogni inespressi, e le conseguenze sono sotto gli occhi di tutti.
Ma l’evidenza che esiste un disegno perverso finalizzato a dimostrare che non occorrono medici è riscontrabile nella stessa metodologia che calcola il Full Time Equivalent (FTE), ovvero il debito orario netto di chi lavora. Premesso che in base all’ultimo CCNL ogni medico, al netto delle ferie e delle attività non assistenziali, ha un debito orario contrattuale di 1.462 ore l’anno, l’AGENAS ha incomprensibilmente incrementato il debito – a parità di contratto di lavoro – a 1.560 ore l’anno, calcolando anche le ore aggiuntive autorizzate per far fronte alla carenza di personale (!) e dando per ovvia la sostituzione delle dottoresse in maternità, avvenimento in realtà più unico che raro.
Tanto è sufficiente a comprendere come si sia inteso aumentare surrettiziamente il lavoro di ciascun medico di 98 ore, in modo tale che su 112.147 dirigenti si risparmiano ben 11 milioni di ore l’anno, ovvero 7.517 medici. Tutto questo, ovviamente, senza tener conto delle innumerevoli incombenze burocratiche che sottraggono all’assistenza oltre il 60% del debito orario.
Il differenziale tra 1.462 e 1.560 tende ad allargare lo stretto limite di 3 medici per una guardia notturna nelle terapie intensive; al tempo stesso, diventa ulteriormente improponibile la specifica indicazione di una guardia interdivisionale ogni 100 posti letto. Così come risulta una autentica presa in giro la possibilità offerta alle Regioni di alzare volontariamente – beninteso – il tetto di spesa sul personale del 5%.
E si tratta solo di alcuni esempi che rendono lampante l’assurdità di un documento colmo di elementi quantomeno discutibili: in sintesi, una miscellanea di indicatori ed algoritmi che tende a far contrarre ulteriormente l’offerta sanitaria – esponendo sia i medici che i pazienti ad ulteriori rischi, in termini di qualità e sicurezza delle cure – ma con il pregio di risolvere con un colpo di spugna il problema della carenza del personale.
L’ironia finisce qui, e lascia il posto alla rabbia, alla delusione, anche alla frustrazione. Chi ha redatto il documento forse ha ignorato gli innumerevoli gridi di allarme sull’aumento della complessità delle malattie cui assistiamo e cui certamente assisteremo nei prossimi anni; non ha sperimentato il dramma delle barelle nei pronto soccorso perché non ci sono posti letto disponibili, bloccando le ambulanze e rallentando i soccorsi che tutto sono tranne che “pronti”; non conosce la quantità esagerata e costantemente in aumento di documenti che ogni medico deve compilare per ciascuna attività, togliendo percentuali elevatissime di tempo alla cura del paziente.
Come si pensa di superare tutti questi problemi che mettono a rischio la vita delle persone diminuendo il fabbisogno di personale con un gioco di prestigio?
Guido Quici