La pacchia, come direbbe Matteo Salvini, è finita. Dopo tre anni consecutivi di crescita (ancorché stentata) l’economia italiana s’è fermata. Il Pil del terzo trimestre 2018 — certifica l’Istat — è al palo. Non solo: il progresso tendenziale annuo è sceso dall’ 1,2% allo 0,8% attuale. E lo stallo dell’Italia rende un miraggio il già ambizioso +1,5% di prodotto interno lordo previsto dal governo per il 2019. « È uno stop congiunturale che riguarda tutta l’Europa — ha provato a buttare acqua sul fuoco il premier Giuseppe Conte — . Per questo abbiamo pianificato una manovra espansiva » . In realtà, fibrillazioni dell’economia globale a parte, l’Italia è riuscita a complicarsi la vita da sola. E lo scontro con l’Ue unito alle tensioni sullo spread (salito ieri a 311 punti base) rischiano nei prossimi mesi di chiedere un pedaggio ancor più salato alla nostra economia. I problemi, è vero, sono diffusi. La guerra dei dazi di Trump, i guai dei Paesi emergenti — Turchia e Argentina su tutti — e la frenata della locomotiva cinese ( cresciuta “ solo” del 6,5% nel terzo trimestre, dato peggiore dal 2009) hanno imballato il motore del pianeta, reduce — salvo eccezioni — da nove anni di boom. Le prove? L’economia dell’area euro è migliorata tra luglio e settembre dello 0,2%, la metà dei tre mesi precedenti. Anche il + 3,5% messo a segno quest’estate dall’Usa Inc. nasconde qualche primo neo: le spese delle aziende e per il settore residenziale frenano da un po’, segno che il piano di stimoli fiscali da 1,5 trilioni della Casa Bianca inizia a perdere colpi.
L’Italia però fa peggio del resto d’Europa. A dirlo non sono solo Pil e bocciature delle agenzie di rating: lo spread è salito dai 120 punti di inizio anno ai 311 attuali. La Borsa ha perso il 22% da quando ha iniziato a prendere forma l’esecutivo Lega-M5s, ben più del — 10% degli altri listini continentali. L’aumento dei tassi ai massimi dal 2014 (nell’asta di Btp di ieri l’Italia ha pagato 689 milioni di interessi in più rispetto a febbraio) ha mandato in tilt anche le banche, in un circolo vizioso in cui trovare credito è più difficile e costoso e a pagare, alla fine, sono aziende e Pil.
L’industria manifatturiera è stata la prima a tirare il freno. I dati sulla produzione sono deludenti da un po’ e la fiducia delle imprese è crollata dai 108 punti di febbraio a 102. Anche perché l’export, motore del boom da tre anni, inizia a battere in testa. Finora — fors’anche grazie alla fiducia del governo nei sondaggi — hanno tenuto i consumi: ma anche qui si vedono le prime nubi all’orizzonte. E il dubbio — come scrive Barclays — è che gli effetti negativi della manovra ( « più rischi per l’economia e aumenti dei costi dei finanziamenti ») siano preponderanti.
Ieri sui mercati il dato sul Pil ha depresso il grafico del Btp, e coinvolto i Bonos spagnoli, il cambio euro- dollaro e l’Eurostoxx azionario, in un effetto contagio finora mai segnalato in sei mesi di ribassi italiani; poi l’avvio positivo di Wall Street ha attenuato il movimento. «L’Italia ferma nel trimestre è una spia che anticipa i rischi di recessione che nei prossimi due trimestri potrebbero portare il rapporto deficit- Pil verso la soglia del 3% — dice Antonio Pace, a capo del fondo Ms Investcorp Geo Risk — . Da oggi più del Def diventano centrali i dati sul Pil, e le misure meno procicicliche del governo come reddito di cittadinanza e pensioni saranno ancor più messe sotto pressione». Con l’effetto di allargare il gorgo vizioso tra rischi politici, fuga degli investitori (70 miliardi in meno sul debito italiano da maggio) e rischi di liquidità. La fine della politica monetaria ultra- espansiva di Bce e Fed «trasforma in minaccia concreta i rischi politici e di liquidità, non più coperti dalle banche centrali » aggiunge Pace. Ognuno dovrà fare da sé. E la strada per l’Italia — senza l’ombrello di Draghi e con il Pil al palo — può rivelarsi ripida come una parete del K2.
Repubblica