I dati dell’analisi mostrano che nella contrazione generale le imprese mantengono una buona capacità di competere. Anche Bruxelles mette nero su bianco la crisi sofferta dalla manifattura italiana negli ultimi cinque anni.
Il rapporto, pubblicato alla vigilia del Consiglio Competitività che dovrà discutere della comunicazione “Per una rinascita industriale europea”, indica che la produzione italiana ha perso circa 24 punti percentuali tra il 2008 e il 2013, un risultato che ci pone tra i Paesi con la peggiore performance nel periodo. Peggio dell’Italia, nello stesso intervallo di tempo, hanno fatto solo la Finlandia, la Spagna, Grecia e Cipro, dove il calo si è addirittura avvicinato al 35 per cento.
La tabella sulle variazioni occupazionali dei singoli settori, dal 2000 al 2012, sintetizza le situazioni più critiche per l’Italia, con un pesante -28% nel tessile, un -25% nelle tlc, un -15% sia nel comparto minerario sia nell’agricoltura. È evidente come, al pari di quasi tutti i Paesi europei, ci sia invece stato uno spostamento verso il settore dei servizi, dove nello stesso arco di tempo si registra ad esempio il +30% della consulenza e programmazione Ict o il 38% delle attività di alloggio e ristorazione.
E rappresentano solo una parziale consolazione i dati del rapporto in cui si mostra che il sistema industriale italiano ha sostanzialmente tenuto in termini di quote del manifatturiero Ue, segno che nella contrazione generalizzata dell’economia europea le nostre imprese mantengono comunque una buona capacità di competere.
Ampliando lo sguardo all’intero quadro continentale, la Relazione mette in evidenza che la maggior parte dei settori non ha ancora raggiunto il proprio livello produttivo pre-crisi e ci sono ancora differenze significative tra settori e Stati membri. La debole ripresa che si era intravista nel 2010-2011 è stata bruscamente interrotta e nel 2012 l’industria manifatturiera si è assestata al 15% del Pil, 3 punti percentuali in meno rispetto al 2001. «L’Europa è ancora lontana dall’obiettivo del 20% di quota del Pil prodotto dall’industria entro il 2020 – osserva il vicepresidente della Commissione europea e commissario responsabile per l’imprenditoria, Antonio Tajani – invito pertanto gli Stati membri a sostenere il nuovo pacchetto sull’industria nel Consiglio Competitività della settimana prossima».
Pochi i Paesi che stanno invertendo la tendenza. Una decisa ripresa si registra in Romania, Polonia, Slovacchia e nei Paesi Baltici, dove sono stati recuperati e anche superati i picchi registrati prima della recessione. Per quanto riguarda i settori, il quadro appare abbastanza frammentato. L’high tech, i prodotti farmaceutici e le merci di prima necessità, come alimenti e bevande, resistono alla crisi; il settore della costruzione, quello minerario e la manifattura più tradizionale sono stati invece duramente colpiti. Hanno retto soprattutto le industrie manifatturiere ad alta tecnologia, capaci di navigare in acque meno tempestose in virtù della più elevata produttività e di una dipendenza più contenuta dagli input energetici.
Alla contrazione della manifattura europea ha fatto da contraltare la crescita dei servizi destinati alla vendita che in media, tra il 2000 e il 2012, sono cresciuti dell’1,7% e corrispondono ora alla metà del Pil dell’Unione. In aumento anche la quota dei servizi non destinati alla vendita (in generale forniti dal settore pubblico), che ha raggiunto il 23% del Pil nel 2012. Un trend che, di riflesso, ha determinato un’interrelazione sempre più stretta tra i due mondi, dal momento che le imprese manifatturiere impiegano in misura crescente i servizi nel contesto dei loro processi produttivi, per lo sviluppo e la vendita di prodotti o per attività legate all’innovazione di processo. L’Italia è, insieme al Belgio, in testa a questa speciale classifica: la quota di imprese manifatturiere che hanno sviluppato innovazioni tramite servizi sfiora il 14%, contro una media europea di poco superiore al 7 per cento.
Il Sole 24 Ore – 18 febbraio 2014