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Scandalo dei primari. A Pieve di Cadore in tanti sapevano

Tutti sapevano tutto. O quasi. La caposala, la segretaria del reparto, un’altra infermiera e un dirigente medico erano a conoscenza, in modi e con diversi gradi di consapevolezza, del fatto che il primario usava il reparto come un’appendice del proprio studio.

Ma anche la Direzione Medica Ospedaliera non poteva ignorare, visto che era stata informata, seppur verbalmente, della disinvoltura con cui il cardiologo accoglieva i propri clienti personali in una struttura pubblica, l’ospedale di Pieve di Cadore. Ed anche sedici pazienti erano a conoscenza del segreto di Pulcinella, se non altro per il fatto di aver versato 130 euro per le visite (100 euro se “in nero”), lamentandosi a volte di dovervi aggiungere il ticket per essere stati visitati dal dottor Jacopo Dalle Mule.

     L’ospedale perfetto – piccolo, ordinato, ben tenuto – sorge sulla cima di un colle che sovrasta Pieve di Cadore. Bisogna percorrere una ripida salita gelata a tornanti per raggiungere l’ingresso principale sul retro. E si viene accolti da una sensazione piacevole di qualcosa che funziona nell’Italia della malasanità, del disordine e degli sprechi. Corsie linde, discrezione e silenzio. Infermiere sorridenti, medici gentili, impiegati che paiono la negazione degli scansafatiche.

     Eppure la struttura sanitaria in riva al lago di Domegge ha collezionato nell’arco di appena un mese un record davvero poco invidiabile. Due primari beccati (stando alle rispettive accuse) con le mani nella marmellata. Il ginecologo Carlo Cetera (ai domiciliari) per aver preteso denaro dalle pazienti in cambio di un avanzamento repentino nella lista di chi sarebbe stata sottoposta all’inseminazione artificiale. Il cardiologo Dalle Mule per aver trasformato le mura ospedaliere in quelle del proprio studio, in barba all’opzione extramoenia che aveva fatto cinque anni fa. A suo carico è stata negata la richiesta di domiciliari del Pm Antonio Bianco, ma è stata accolta la sospensione dall’esercizio della professione e il divieto di entrare in Comune di Pieve di Cadore.

     I primari a Pieve sono sette. Due di loro in odore di concussione o peculato. Il che fa una percentuale-monstre di quasi il 30 per cento. In barba ai controlli, sotto gli occhi di tutti, con i mormorii che si intrecciavano. Già, perchè l’ospedale è così piccolo che vien legittimo il dubbio che a conoscenza degli intrallazzi potesse esservi tantissima gente. Ma anche il sospetto che, probabilmente, la pratica degli abusi da parte dei capi dei reparti è molto più diffusa di quanto non indichino gli sporadici episodi che arrivano a dar vita a un’inchiesta penale.

     Vuoi vedere che se a Pieve tutti sapevano qualcosa, come testimoniano una quindicina di verbali delle infermiere e dei pazienti, altrove molti si comportano con la stessa disinvoltura? Un sospetto che dovrebbe portare a controlli su vasta scala nella Sanità veneta sulla rigorosa applicazione della norma che distingue e disciplina pubblico e privato nell’esercizio dell’attività medica da parte degli ospedalieri.

     Qualcuno ha chiuso gli occhi su un malcostume diffuso? «Non è proprio così – risponde il direttore generale dell’Ulss 1 di Belluno, Antonio Compostella – perchè siamo stati noi a denunciare i fatti, collaborando poi con le indagini di polizia giudiziaria. E perchè se ci sono due mele bacate con comportamenti deviati, non si può ricorrere alla dietrologia di pensare che così fanno tutti». Ma due su sette… «In effetti, statisticamente è tantissimo, ma la nostra vigilanza c’è stata. Certo che la collaborazione dei cittadini nella denuncia degli abusi ci aiuterebbe moltissimo».

     «Ma non siamo mica poliziotti, sfido un qualsiasi direttore di una grande azienda a sapere quali sono i comportamenti di tutti i suoi dipendenti». Raffaele Zanella, direttore dell’ospedale di Pieve di Cadore, non accetta processi sommari ai controlli interni che non hanno funzionato per lungo tempo. «Chi conosce l’organizzazione delle unità operative di un ospedale sa che esse godono di una autonomia gestionale, che viene portata avanti dai primari e dai loro collaboratori».

     Eppure i verbali riguardanti Dalle Mule raccontano di irregolarità continue. «Due-tre pazienti al giorno si presentavano senza prenotazione, venivano visitati, qualcuno pagava il ticket, altri no. Molti non avevano neanche l’impegnativa. E in certi casi venivano dirottati attraverso il pronto soccorso per finire così in reparto». Dalle Mule si è discolpato sostenendo di aver lavorato sempre molto in ospedale. Se poi qualche paziente è stato visitato in modo anomalo, si tratta di casi limitati e indotti dall’urgenza…

Gazzettino – 29 gennaio 2012

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