È il nuovo nemico da scacciare, malessere latente che minaccia la salute dell’economia della zona euro. Se le tensioni sullo spread hanno concesso un po’ di tregua, il nuovo pericolo per i Paesi della moneta unica si chiama deflazione. Il segnale d’allarme è scattato con il dato di ottobre, quando il livello dei prezzi si è attestato allo 0,7% rispetto al 2,5% di un anno prima.
La conferma è arrivata con le prime stime in chiaroscuro sul mese di novembre: un’inflazione in risalita allo 0,9% nell’area della moneta unica, in Spagna e Germania, ma maggiori pressioni al ribasso in Italia, con una frenata dei prezzi allo 0,6% rispetto allo 0,8% del mese precedente. Il rischio è reale e lo spettro aleggerà ancora nel 2014.
Finora il livello di guardia è stato superato a marzo in Grecia, l’unico Paese tecnicamente in deflazione, e a ottobre i prezzi sono scesi sotto zero anche a Cipro e in Irlanda, tutti Paesi sotto le cure internazionali. La reazione della Bce non si è fatta attendere: un taglio dei tassi al minimo storico dello 0,25% a novembre e l’impegno a non abbassare la guardia. Che cosa succederà nei prossimi mesi? Il livello di ottobre rappresenta il punto minimo o dobbiamo attenderci uno scenario alla “giapponese”?
Sono gli interrogativi a cui gli addetti ai lavori stanno cercando di rispondere, ma per ora la situazione è molto incerta. Secondo gli economisti il rischio esiste, ma per ora non è lo scenario più probabile. Più che di deflazione preferiscono parlare di bassa inflazione. «È indubbio – spiega Violante di Canossa, analista di Credit Suisse – che ci troviamo di fronte al rischio di disinflazione, con parte del paniere che mostra tassi di inflazione negativi».
Esiste però una “disinflazione buona” e una “cattiva”. «La discesa dei prezzi – puntualizza Fedele De Novellis di Ref Ricerche – non è sempre negativa. Parte del fenomeno in atto è infatti dovuto all’attenuarsi delle pressioni dei prezzi del petrolio o al venir meno dell’effetto dei rincari di imposte, come in Italia con gli aumenti di accise e Iva».
Per Fabio Fois, Southern European economist di Barclays, «il calo è anche legato alla contrazione della domanda dovuta alle politiche di austerity e alla cosiddetta svalutazione competitiva: senza margini di manovra sul tasso di cambio si è cercato di agire sulle rigidità nominali». La disinflazione può essere però anche parte di un circolo vizioso dell’economia. «Per il momento – precisa Fois – è difficile stabilire se la tendenza è solo l’effetto dell’aggiustamento strutturale o se tiene già conto di una modifica delle aspettative al ribasso che potrebbe portare a un’ulteriore diminuzione dei prezzi, accompagnata da minori consumi e investimenti futuri». In quest’ultimo caso la deflazione si materializzerebbe. «Immaginare uno scenario deflattivo è possibile – precisa l’economista – ma al momento non è il nostro scenario atteso di base. Secondo le nostre stime, infatti, l’inflazione si attesterà intorno all’1% il prossimo anno».
«Un indicatore importante da monitorare – sottolinea Silvio Peruzzo, senior European economist di Nomura – sarà l’andamento dei salari. Secondo le nostre previsioni sono aumentati dell’1,7% nel terzo trimestre, invariati rispetto al secondo, ma lontano dalla media storica (+2,3%)». Altre spie accese da non sottovalutare sono i consumi, in timido recupero quest’anno, ma pur sempre negativi, e gli investimenti, previsti in calo di quasi il 3 per cento.
Nuovi indizi arriveranno giovedì dalla Bce, che pubblicherà le nuove stime e fornirà per la prima volta un’indicazione sul 2015. A settembre l’Eurotower scommetteva su un livello dei prezzi dell’1,5% per quest’anno e dell’1,3% per il prossimo. «Ci attendiamo – dice Peruzzo – una revisione al ribasso: 1,3% per il 2013, 1% per il 2014 e per il 2015». Secondo gli economisti la Bce resterà a bocce ferme, ribadendo l’impegno a tenere sotto controllo i prezzi, ma rinviando possibili nuove mosse al 2014.
«La bassa inflazione – puntualizza Anna Maria Grimaldi di Intesa Sanpaolo – va comunque contrastata per gli effetti negativi che porta con sè». Sono quattro gli strumenti nell’arsenale di Francoforte: un ulteriore ritocco dei tassi, anche a colpi dello 0,1 o 0,15%, il tasso sui depositi sotto zero, una nuova operazione di rifinanziamento per fornire liquidità alle banche (Ltro), fino al miraggio del quantitative easing. «Solo con un programma di acquisto di titoli a tempo indeterminato – conclude Grimaldi – la Fed e la Banca del Giappone sono riuscite ad aumentare significativamente la base monetaria e a risollevare le attese di inflazione. Ma un programma di acquisto in Europa rimane una possibilità remota per la Bce, connessa a un’evoluzione molto negativa del contesto macroeconomico europeo e di chiare indicazioni di deflazione nella media dell’area euro».
Il Sole 24 Ore – 2 dicembre 2013