Repubblica. La variante Delta è come il Fight Club, non se ne parla. Si respira un sorta di strana omertà tra i giovanissimi che, sempre più numerosi, vengono agganciati dal virus. I medici del dipartimento prevenzione delle Asl denunciano frequenti scenate, fughe, telefonini spenti e menzogne spudorate: i baby-positivi pur di sfuggire la quarantena sono disposti a tutto.
Non sono preoccupati per le conseguenze penali che può comportare l’omissione di informazioni in fase di indagine epidemiologica, figurarsi se si curano del fatto che, scomparendo dai radar o negando di aver avuto contatti con un positivo, innescano reazioni a catena, andando a colpire — è questo il timore — le persone più grandi e più a rischio. Che sono i loro genitori e zii, a settembre saranno i 221mila insegnanti che non si vogliono vaccinare: i dati diramati dalla struttura commissariale parlano di 2 milioni e 500mila over 50, e quasi altrettanti tra sessanta, settanta e ottantenni ancora in attesa di prima dose.
Durante il tracciamento di un cluster, sviluppato il 5 luglio dopo una serata in uno stabilimento balneare di Ostia e che oggi conta 21 casi, i tracciatori della Asl Roma 3 si sono scontrati con ragazzi positivi che riferivano di aver bevuto l’aperitivo da soli. Come eremiti ma con lo spritz, per giunta in una delle location più gettonate della movida del litorale laziale, tra la musica e gli schiamazzi dei tanti coetanei. Poi, qualcuno, sotto la paziente fermezza dei medici, ha ceduto. E tra le lacrime ha sussurrato i nomi dei compagni di comitiva con cui quella sera aveva fatto bisboccia. «Gli amici lo avevano intimato di non riferire i loro nomi — conferma Stefania Iannazzo, direttrice del Sisp (servizio igiene e sanità pubblica) della Asl Roma 3 —. Soprattutto con i minorenni è dura, i genitori sono molto protettivi. Hanno paura che i ragazzi vengano trattati come appestati dai coetanei. Ma così si finisce per fare ancora più danni». Se oggi il focolaio di Ostia è sotto controllo, è solo grazie al (sudato) tracciamento.
«Non solo mentono, ma si infastidiscono pure — spiega Fabio Vivaldi, direttore del Sisp Asl Roma 2 — ci dicono che non è nostra competenza sapere cosa hanno fatto. Ci trattano come se fossimo poliziotti, ma il nostro è un compito sanitario e la quarantena non è una “rottura” ma il più importante strumento di prevenzione, insieme ai vaccini, che abbiamo ». Il medico non è ancora sicuro se un ragazzo positivo, scoperto sabato, sia riconducibile a un cluster già noto, quello di Santa Severa — cittadina sul mare a nord di Roma — sviluppatosi tra gli avventori di un bar durante la finale Italia-Inghilterra. Il motivo? Le informazioni fornite sono troppo vaghe. E se almeno il giovane è stato intercettato, ce ne sono tanti altri a spasso col virus. Alla notizia dei primi positivi dopo la partita, infatti, a Santa Severa c’è stato il fuggi fuggi generale. «Noi ne abbiamo intercettati 10, ma solo 2 sono residenti nel nostro territorio, gli altri sono ragazzi di Roma con seconde case qui — spiegano i tracciatori della Asl Roma 4 — e no n appena hanno saputo dei primi positivi del gruppo sono fuggiti a Roma, sono decine». E nessuno riesce a capire chi e dove siano.
Lo stesso fenomeno avviene all’estero: lo hanno raccontato i ragazzi bloccati nell’isola greca di Ios. Il gruppo di 14 diciannovenni, di cui una positiva, si è smembrato poco prima dell’inizio della quarantena: alcuni tra i compagni di viaggio, amici per la pelle fino a un attimo prima, hanno riferito alle autorità greche di non aver avuto alcun contatto con la ragazza. «Abbiamo persino fumato il narghilè insieme», ha ricordato uno di loro, che ora si trova a Ios. Sono rimasti in sette, a scontare l’isolamento, “rei” di aver detto la verità.