La sua carriera letteraria rischia di andare in crisi per un coniglio. Arrosto, va specificato, ma non solo: ucciso, scuoiato, cucinato e mangiato dalla stessa autrice di Non ci sono solo le arance e altri romanzi. Jeanette Winterson, scrittrice inglese apprezzata dai critici e con un seguito di fedeli lettori, potrebbe avere compromesso tutto con il suo pranzetto da cacciatrice autarchica, anche perché il coniglio non si è accontentata di catturarlo e metterlo in tavola: lo ha pure messo su Twitter, con tanto di fotografie delle diverse fasi, dall’animale ammazzato a quello pronto per la pentola.
E in men che non si dica è partito sul social network il tam-tam delle proteste: «Che crudeltà», cinguettano i suoi fans indignati, riferendosi non solo all’uccisione ma anche e soprattutto all’esposizione mediatica del (mis) fatto. «Non leggerò mai più una tua parola», minacciano alcuni.
La romanziera/cacciatrice, tuttavia, non si è spaventata, almeno per ora. Difende la propria azione in questo modo, sempre su Twitter, con linguaggio inevitabilmente sintetico ma anche ironicamente da indiana del Far-West: «Coniglio mangiato mio prezzemolo. Io mangiato coniglio». Pare che il piccolo leporide fosse specializzato nel fare danni all’orto e al giardino della Winterston, facendo scorrerie tra prezzemolo e cavoli, oltre che tra rose e gladioli. Lei allora gli ha teso un tranello, lo ha preso in gabbia, lo ha ucciso “umanamente” (senza spiegare esattamente come), ha tagliato il pelo e ha cucinato la carne con sidro, timo e rosmarino. Servendo pure gli avanzi al proprio gatto. A chi la accusa di gesto crudele e promette di boicottare d’ora in poi i suoi libri, replica: «Leggete soltanto scrittori vegetariani? E perché la carne d’allevamento va bene ma quella procurata di persona è disgustosa?» Lei stessa è stata per nove anni vegetariana, ha gestito un negozio di alimentari e scritto molto sulle coltivazioni organiche: il cibo è un argomento di cui si intende. «Sono sempre stata appassionata alla politica dell’alimentazione», osservava l’autrice qualche tempo fa, sottolineando che è importante sapere non solo cosa mangi, ma da dove proviene il mangiare, quanto è costato in termini di inquinamento e dispendio energetico, che contributo dà all’economia locale. Il suo “bunny” è a “chilometro zero”, sostiene, e non ha fatto male a nessuno (tranne alla vittima, naturalmente). Ciononostante, in una nazione che ama pazzamente gli animali, tanto da non mangiare carne di cavallo, ma che fino a un decennio fa praticava con passione la caccia alla volpe facendola sbranare da una muta di cani inferociti, il coniglietto in padella e su Twitter appare a molti politicamente scorretto. Sebbene non a tutti, come la lettrice che cinguetta in risposta alle immagini: «Che vino ha usato per cucinarlo? Fa venire l’acquolina in bocca».
Repubblica – 19 giugno 2014