Non condivido la tendenza paternalistica dell’OMS a trasferire sui cibi le colpe dei comportamenti umani, tanto da utilizzare a sproposito il termine “unhealthy” (malsano, insalubre) per alimenti che apportano comunque nutrienti utili se contenuti, col normale buonsenso, nei limiti positivi del gratificante.
La storia del proibizionismo dell’alcol che non è un nutriente ma un tossico, perciò non comparabile ai cibi troppo grassi o troppo zuccherini, ha confermato quanto sia più utile rafforzare l’autocontrollo che viene dalla consapevolezza acquisita in famiglia e a scuola piuttosto che dai veti delle autorità.
Il pericolo delle multe per eccesso di velocità non scoraggerà mai un giovane quanto una metodica responsabilizzazione, altrettanto si dovrebbe pensare per chi eccede in dolciumi o in alimenti fritti, salati e arricchiti di grassi. Sconsigliare alcuni cibi in commercio (quindi tutt’altro che insalubri) può essere una doverosa prescrizione del medico per dei pazienti obesi, dislipidemici o forzatamente sedentari, ma non sarà mai una proposta ragionevole per chi ha la fortuna di spendere in uno stile di vita attivo il propellente energetico degli alimenti. Più di mezzo chilo di pane e almeno due etti di pasta al giorno erano indispensabili per vangare la terra, ai tempi della dieta mediterranea, ma oggi sarebbero semplicemente inadatti per chi vive dietro un computer o alla cassa di un supermercato.
edeltoma@gmail.com – Repubblica – 10 giugno 2014