di Attilio Barbieri. All’Expo l’unico Paese che presenta adeguatamente i propri prodotti Dop, vale a dire a Denominazione di origine controllata, è l’Italia. Inutile cercarli altrove. Se ne trovano tracce sbiadite ai padiglioni di Spagna e Francia. Per il resto non c’è nulla. E dire che proprio sulla difesa delle indicazioni geografiche, Dop e Igp, si gioca il futuro del cibo legato ai territori e alle tradizioni locali.
Secondo l’ultima bozza d’accordo del Trattato transatlantico per il commercio e gli investimenti, che gli Usa stanno negoziando in segreto con l’Europa, i falsi prodotti italiani prodotti negli States avrebbero la patente di legittimità. Depotenziando tutto il sistema europeo delle indicazioni d’origine. Parmesan, Combozola, Regianito e via dicendo, potrebbero circolare liberamente nel territorio della Ue e arriverebbero sugli scaffali dei supermercati. Pure da noi.
Testimoniare l’esistenza e la centralità delle indicazioni geografiche è importante in questo frangente. Ebbene, l’unico Paese che all’esposizione universale ha avuto il coraggio di farlo è stato il nostro. Al padiglione Cibus è Italia – una coproduzione tra Federalimentare e Fiere di Parma – è esposto tutto l’universo delle Dop e delle Igp italiane, organizzate in sale tematiche e suddivise tra formaggi, salumi e altro. Ogni consorzio di tutela è descritto e illustrato con video di pregevole fattura che aiutano anche i visitatori più distratti a capire il legame fra le tradizioni alimentari, il territorio, le tecnologie di produzione e le eccellenze alimentari del made in Italy. Una formula molto efficace che si deve all’intuizione di Antonio Cellie, il vulcanico amministratore delegato delle Fiere di Parma. All’esterno del padiglione Cibus c’è un’area riservata alle degustazioni, rigorosamente gratuite. Proprio ieri venivano offerti i formaggi Dop. Dunque, a fianco del racconto per immagini dei campioni del made in Italy, è possibile lasciarsi sedurre dai gusti unici delle Denominazioni d’origine.
Ma si tratta di un caso unico. Nonostante una ricerca estenuante che ha richiesto quasi una giornata, dopo aver setacciato tutti i padiglioni dei Paesi europei, ecco la sconsolante scoperta: nei nei percorsi espositivi non si trova traccia delle Dop. C’è qualcosa al negozio del padiglione spagnolo, «La Tienda Gourmet» che espone un extravergine d’oliva, a marchio Oleoestepa, a Denominaciòn de origen estepa, una paprica in polvere, Pimentòn de la vera e dei filetti di sgombro. Tutto qui. Non è facile individuarli, anche perché il personale spagnolo del locale dimostra di non conoscere il significato del marchio Denominaciòn de origen protegida.
Peggio ancora al padiglione francese che ospita perfino una riproduzione d’un distributore di biocarburanti e una vasta zona dedicata a Air France (cosa c’entra con l’Expo?). Nel bazar all’uscita, confusi fra tazzine e gadget vari ci sono i vasetti di un peperoncino rosso Pimente d’Espelette, che reca l’inequivocabile bollino rosso e giallo e la scritta Appelation d’origine protégée, che in francese si abbrevia in Aop. E dire che i cugini d’Oltralpe hanno parecchie Dop, ben 97, anche se noi li sopravanziamo di parecchie lunghezze con 162 specialità registrate e riconosciute dall’Unione europea.
Nel resto dell’Expo è inutile cercare. Con l’unica eccezione della Germania (titolare di 11 Dop) che all’interno del proprio padiglione, nella sala dedicata alla ricostruzione di un supermercato virtuale, mostra diversi esempi di «etichette regionali» con l’indicazione dell’origine per le materie prime. Riconducibili a un land piuttosto che a un altro.
Nemmeno l’Irlanda, che pure ha dedicato la propria installazione a spiegare il sistema di certificazione sostenibile battezzato «Origin green», fa riferimento alle indicazioni geografiche. Ma la scelta si spiega con i numeri: Dublino ha appena una Dop riconosciuta. Mentre fra i Paesi che ne hanno parecchie, il Portogallo non partecipa all’esposizione universale, e la Grecia, ospitata nel tristissimo e periferico cluster bio mediterraneo, non ha portato a Milano alcun prodotto.
Ma c’è un altro padiglione tricolore dove le eccellenze italiane trovano ospitalità. Quello della Coldiretti dove si alternano settimanalmente le federazioni provinciali della Penisola. Pur frammentariamente formaggi e salumi Dop e Igp e vini Doc, trovano una vetrina nell’installazione della maggiore organizzazione di rappresentanza del mondo agricolo.
Nessuna traccia invece al padiglione di Slow Food che magnifica i presidi del gusto legati alla biodiversità., dimenticando però i campioni del made in Italy. Una scelta difficile da capire e che diventa paradossase se si pensa che dalla prossima settimana McDonald’s, dentro e fuori dall’Expo, introdurrà nuovamente nel menù il panino con Parmigiano Reggiano Dop e appena dopo quello con lo Speck dell’Alto Adige.
Libero – 1 luglio 2015